Una particolarità: gli enormi cilindri che la compongono sono fatti con gli abiti delle collezioni di Vaccarello: Lang li ha bruciati e plasmati. «Non sono attaccato alle cose materiali: né per Helmut né per me il passato è intoccabile», spiega Vaccarello. «Lui è stato il primo a opporsi ai messaggi puramente promozionali e a riportarci all’essenza della moda.
E ammiro molto anche il suo approccio artistico». Helmut Lang non è prodigo di interviste, oltre a non parlare mai del suo passato di stilista. Ma questa volta si concede.
Com’è nato il progetto?
«Due anni fa con Anthony abbiamo iniziato a discutere sull’idea di fare qualcosa assieme. Poi lui mi ha proposto di realizzare delle sculture, simili ad altre che avevo fatto, con gli scarti delle sue collezioni, cosicché recassero traccia del suo lavoro».
Il precedente di cui parla lo ha creato usando il suo archivio stilistico, distrutto da un incendio nel 2010. Quanto l’ha influenzata quell’episodio?
«Per fortuna avevo già donato 450 uscite di sfilata e migliaia di accessori a venti musei in tutto il mondo. Il fuoco ha rovinato 9mila pezzi, ma invece di buttarli, li ho riutilizzati: ci ho messo tre anni per terminare quelle opere. In realtà già lo facevo con altri materiali di scarto, ma di sicuro senza l’incendio e le sue conseguenze non avrei mai creato certe installazioni».
Che cosa ha significato stavolta distruggere il passato altrui?
«Non è mai stata una questione di distruzione. Il tema principale è la trasformazione e la rinascita, l’oscurità e la speranza di sopravvivere e rinnovarsi. Come si dice, gli oggetti sono solo oggetti: esistono per esserti utili. Ma certo ogni cosa ha un risultato diverso».
In un’intervista ha citato proprio una frase di Yves Saint Laurent: "La moda non è arte, ma richiede un artista per esistere". Lei si è sempre sentito un artista?
«In realtà da ragazzo pensavo che avrei lavorato con l’ arte, ma poi in un modo o nell’altro sono finito a fare moda. Mi piace pensare di avere sempre avuto la mentalità di un artista, e di avere sempre saputo che un giorno o l’altro mi ci sarei dedicato completamente».
Parlando di Saint Laurent, cosa ne pensa della maison?
«Ho il massimo rispetto per il lavoro di Yves, e credo che Anthony sia riuscito a evolverne l’immaginario come mai prima d’ora. Lo considero una delle poche voci importanti della moda di oggi, per questo quando mi ha proposto una collaborazione ho accettato subito».
Lei è conosciuto per essere molto selettivo: cosa l’ha spinta ad accettare?
«Mi hanno proposto moltissime operazioni di moda, ma questa è la prima concentrata sulle mie opere».
C’è un collegamento tra la sua arte e la sua moda?
«Non in maniera diretta, ma quello che faccio oggi è la sintesi di tutte le esperienze della mia vita».
E le fonti di ispirazione?
«No, sono due discipline differenti.
La moda è creata sulla base del corpo umano, mentre la scultura i corpi li costruisce: partenza e arrivo sono agli opposti. Quello che resta uguale è che io ho sempre agito con la mia visione, puntando all’essenza in tutto quello che faccio».
Anche lei, da stilista, ha collaborato con diversi artisti come Jenny Holzer e Louise Bourgeois.
Come ci si sente a essere dall’altra parte della barricata?
«A mio agio, l’arte è il mio lavoro da 15 anni. Certo non fa male avere una certa familiarità con la moda».
Si sente libero – o più libero – oggi rispetto al passato?
«Mi sono sempre sentito libero di lavorare a modo mio. La pressione è sempre la stessa, perché l’obiettivo è riuscire. E poi, a prescindere da ciò che faccio, non mi sono mai aspettato che le cose fossero facili».