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 2020  ottobre 11 Domenica calendario

I regimi del mappamondo Covid

Dall’inizio della pandemia, il presidente della Tanzania John Magufuli nega che nel suo Paese ci sia un problema sanitario. Magufuli, che è stato eletto cinque anni fa in elezioni considerate libere dalla comunità internazionale, sta usando la mano dura contro giornalisti e medici che osano contraddire la sua non-gestione dell’emergenza, e molti media del Paese si sono visti ritirare le licenze per aver criticato l’operato del governo. In Sierra Leone, il presidente Julius Maada Bio ha imposto lo stato di emergenza per un anno, e cosi pure sta facendo l’Egitto del generale al Sisi, prolungando di fatto una condizione che va avanti fin dal colpo di stato contro l’ex presidente Morsi. In molti Paesi dell’America latina l’esercito è tornato per le strade per far rispettare le misure di protezione sanitaria, mentre in Stati come le Filippine o il Vietnam una serie di leggi contro “le fake news” stanno fornendo ai governi il pretesto per far tacere giornalisti e attivisti. La pandemia è una tempesta sanitaria difficile da domare, ma è anche uno stress test per la democrazia nel mondo. «La crisi ha imposto la necessità di misure straordinarie per proteggere la salute dei cittadini, e questo è sacrosanto, ma bisogna stare attenti a che queste misure – come lo stato di emergenza – vengano introdotte attraverso processi democratici e subito rimosse una volta che la pandemia sarà passata», ci dice Alberto Fernandez Gibaja, senior Programme Officer dell’Idea, International Institute for Democracy and Electoral Assistance di Stoccolma, un’organizzazione intergovernativa che supporta i Paesi nelle loro transizioni verso la democrazia e ogni anno analizza lo stato di salute delle libertà nel mondo. Il 16 ottobre al Festival della partecipazione di Bologna, Gibaja presenterà i dati dell’ultimo global monitor dell’organizzazione.
La fotografia che gli studiosi hanno scattato in questi ultimi otto mesi non è rassicurante. La pandemia sta mettendo a dura prova «la libertà di espressione e la sicurezza personale nel mondo»: mentre i governi democratici infatti usano divieti e restrizioni per cercare di arginare l’epidemia, la stessa viene usata da regimi autoritari o democrazie illiberali per concentrare i poteri, silenziare i critici, rafforzare gli apparati di sorveglianza, scavalcare i Parlamenti.
Su 163 Paesi presi in considerazione dal rapporto, più della metà, 97, hanno fatto ricorso a poteri emergenziali, con percentuali che arrivano al 63,33% degli Stati in Europa e all’84% nelle Americhe, ma mentre «le democrazie stanno usando strumenti democratici per arrivare all’approvazione degli stati di emergenza, questo non succede nei regimi autoritari o nei Paesi che sono a metà strada tra democrazia e autocrazie», dice Gibaja.
Circa il 70% degli Stati nel mondo ha imposto il lockdown, e una percentuale ancora più alta, il 90%, ha chiuso le scuole, con conseguenze gravi per il welfare e l’uguaglianza di genere. Per molti bambini non andare a scuola significa rinunciare all’unico pasto del giorno: succede in Somalia, Afghanistan, Yemen. Per le bambine l’impatto può essere anche più duro. Se c’è un solo computer in casa, molte famiglie spesso scelgono che sia il bambino e non la bambina a usarlo. «Rischiamo di perdere molti dei progressi fatti nell’uguaglianza di genere a scuola a causa della pandemia».
Ma sono soprattutto la libertà di espressione e la sicurezza personale dei cittadini a essere sotto pressione. In molti Paesi come il Vietnam, lo Sri Lanka, il Marocco, i governi stanno usando le leggi contro le “fake news” per perseguire i critici. In altri è la sicurezza personale ad essere a rischio. Spiega Gibaja: «Ci sono paesi come il Niger in cui la polizia ha usato una forza eccessiva per reprimere le proteste contro la creazione di un cordone sanitario intorno alla capitale Niamey, ma violenze sono state registrate anche in Kashmir, in India». In diversi Stati dell’America Latina, «che hanno un passato di repressione militare, i governi stanno facendo ricorso all’esercito per far rispettare le misure». Per i regimi autoritari la crisi del Covid è un campo di battaglia politico, «l’occasione per stigmatizzare la democrazia come debole, servono volontà, disciplina e solidarietà per difenderla» .