Il Messaggero, 11 ottobre 2020
La maledizione sul ladro di Pompei
Rubati a Pompei da mano anonima, come souvenir di gran prestigio, per poi essere restituiti perché ritenuti maledetti. La «maledizione» di don Amedeo Maiuri, il grande archeologo che lanciò (si dice) l’anatema contro i futuri ladri di reperti, continua a convincere i turisti a restituire, prima o poi, i pezzi trafugati dagli Scavi durante la loro visita. Le lettere contenenti pietre più o meno insignificanti continuano ad essere spedite da ogni parte del mondo, tutte con lo stesso ritornello: «Portano male». Questa volta arriva dal Canada il pacco, contenente reperti e due confessioni: «Riprendeteveli, portano sfortuna, vogliamo ritornare a vivere sereni». Nicole, autrice di una delle lettere, attribuisce agli oggetti trafugati dagli Scavi nel 2005 addirittura i suoi due tumori al seno e le sue disgrazie finanziarie. Il pacco se lo è ritrovato sulla scrivania il titolare di un’agenzia di viaggio di Pompei che, dopo un primo momento di stupore, lo ha consegnato ai carabinieri del posto fisso del Parco Archeologico.
IL PERDONO
Nelle lettere, scritte in inglese, i mittenti raccontano di avere rubato alcuni reperti durante una visita agli Scavi: due tessere di mosaico, un pezzo di ceramica e due pezzi di anfora. «Ero giovane e stupida – scrive Nicole – Volevo avere un pezzo di storia. Non ho realizzato cosa stessi prendendo: un pezzo di storia cristallizzato nel tempo e che in esso ha tanta energia negativa. È da allora che la sfortuna ha giocato con me e la mia famiglia». Nicole ha 36 anni e ha avuto il cancro al seno due volte. «Io e la mia famiglia abbiamo anche avuto problemi finanziari – racconta la donna – Siamo brave persone e non voglio trasmettere questa maledizione ai miei bambini. Perdonatemi, ho imparato la lezione. Un giorno tornerò nel vostro bellissimo Paese per scusarmi di persona». L’altra lettera, sempre affrancata con un francobollo canadese e sempre di scuse per un altro furto, è meno drammatica. È scritta da Alastain e Kimberly G.: «Ciao, vi restituisco queste pietre che io e mia moglie abbiamo preso mentre visitavamo Pompei e il monte Vesuvio nel 2005. Le abbiamo prese senza pensare al dolore e alla sofferenza che queste povere anime hanno provato durante l’eruzione del Vesuvio e la morte terribile che hanno avuto. Siamo dispiaciuti e per piacere perdonateci per aver fatto questa terribile scelta. Possano le loro anime riposare in pace».
LA MOSTRA
Pacchi come questi da decenni arrivano in Soprintendenza, al Comune, al comando dei vigili urbani, alle agenzie di viaggi e all’ex ente provinciale del turismo. Il primo a disporre la catalogazione dei reperti e la loro esposizione al pubblico, con una singolare mostra, è stato il direttore generale del Parco Archeologico Massimo Osanna, ora direttore generale dei musei dello Stato. Le lettere esprimono pentimento e invocano perdono come una litania. I biglietti arrivano in tutte le lingue. I pacchi svelano oggetti di tutti i tipi, dai meno preziosi – pietre, tessere di mosaico, frammenti di intonaco, marmetti – fino a pezzi pregevoli, come alcuni affreschi figurati. Tra i reperti trafugati, il più importante è il frammento di affresco rubato nei primi anni ’80 dalla Casa del Frutteto, dove una parete era crollata. Un reperto facilmente identificabile per le sue scene dipinte, con un fregio floreale dai ricchi motivi di festoni e racemi vegetali. La domus è stata restaurata nel 2019 e dopo i lavori gli esperti si sono accorti che mancava sulla parete proprio questo tassello. Nel 2014, invece, l’antefissa a forma di testa, in terracotta, che decorava il tetto del quadriportico dei teatri, è stata riportata a mano da una signora. Ancora una volta si trattava di una canadese: nel 1964 aveva trascorso il viaggio di nozze a Pompei. Alcuni dei reperti sono identificabili in modo immediato, altri appaiono più enigmatici e difficili da ricollocare, come le losanghe in marmo di pavimento restituite nel 2013 e di cui si sta cercando il luogo d’origine esatto.