ItaliaOggi, 10 ottobre 2020
Il problema dei collezionisti ossessivi in Germania
Chiuso in casa per il Coronavirus ho sfruttato il tempo anche per mettere ordine nelle mie carte. Ho aperto a fatica i due cassetti della scrivania, e sono letteralmente esplosi. Incredibile quanto fossi riuscito a stipare dentro uno spazio modesto. Cartoline, vecchi conti di albergo, lettere, qualche disegno dei miei figli da bambini. Questo lo butto, oppure no? Una ricevuta serve a ricordare quando sono andato in Normandia nell’albergo di Proust, o a Lipsia quando stava ancora dall’altra parte del Muro.
Avrò eliminato il 50%. La fine della clausura mi ha sorpreso quando ero ancora alle prese con gli scaffali, ma i libri non si buttano. L’Enciclopedia Britannica, comprata a fatica quand’ero alle prime armi come cronista, ormai non serve a niente. Non la stampano neanche più. Ora basta un cd. Se la vuoi vendere, è quotata al massimo 50 euro. Non tengo più un mio archivio cartaceo da quando ho internet, però non mi fido giustamente della rete, meno di prima ma alcuni articoli li ritaglio e li metto da parte. Quando servono, spesso non li trovo.
Faccio parte dei malati di Sammelwut, una sola parola tedesca da tradurre nell’ossessione compulsiva di collezionare? Non credo, o non ancora, ma dovrei stare attento secondo gli specialisti dell’H-Team. Contro la mania di accumulare senza freni, e rischiare di finire soffocati sotto cumuli di carte, di vecchie scarpe, maglioni bucati, non ce la potete fare da soli. Dovete ricorrere a un aiuto, come gli alcolisti.
La squadra di pronto soccorso per collezionisti è nata a Monaco, informa la Süddeutsche Zeitung. Il quotidiano ha sponsorizzato il camioncino, una sorta di ambulanza, con cui Jörn Bindler e Christian Schmitt, i fondatori e capi della squadra, corrono in aiuto dei collezionisti disperati. Ora l’H-Team ha una cinquantina di collaboratori che assistono gratuitamente circa 600 clienti, di ogni età.
Patricia Müller, 43 anni, scrive il quotidiano, abita in un miniappartamento di 30 metri quadrati. È una Leserratte, letteralmente un topolino che legge, quelli che comprano almeno un libro alla settimana, e salvano le case editrici. Ma adesso dorme di fatto in una biblioteca, già una quarantina di volumi sono accumulati in cucina, e ovunque in pile sul pavimento, in corridoio, in camera da letto. Senza dimenticare le carte.
Ora uno della H-Team viene ogni settimana per curarla e assisterla nello spoglio. «Eliminare un pezzo di carta significa cancellare un pezzetto del mio passato» si giustifica Patricia. La terapia anti Sammelwut è lunga, e le ricadute frequenti. Non l’hanno ancora convinta a rivendere i libri su eBay, per il momento li ha spostati in cantina, come me. Il che equivale comunque a seppellirli, non si ritrovano più.
Nei casi più gravi, quando l’appartamento è ridotto a un letamaio, sono i vicini, gli amici, o i parenti, a chiamare l’H-Team. Collezionare libri e cartacce è il primo stadio della mania. Ma non si può esagerare, mettendo da parte tutte le copie del giornale o della rivista a cui siete abbonati. Anche le emeroteche li archiviano ormai in microfilm, o nella versione online. Tanti non buttano neanche le scatolette vuote di tonno o di carne. O le calze bucate o smagliate dei tempi di liceo. Ricordano forse un primo amore? L’accumulo eccessivo è una giusta causa di sfratto.
Secondo Peschel, 60 anni, la sindrome del collezionista ossessivo, si può manifestare dopo un divorzio, o la perdita del partner. Anche il licenziamento e la disoccupazione sono cause scatenanti: si mette da parte in maniera compulsiva, una scorta psicologica per l’emergenza futura, come chi teme di morire di fame e conserva cibo scaduto e pane ammuffito. Una cliente, ha raccontato Peschel, aveva messo da parte una cinquantina di ombrelli, anche quelli rotti. Per i casi più gravi, l’H- Team ricovera i clienti in sette camere, una sorta di clinica per collezionisti. Una cella dove entra un libro alla volta.