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 2020  ottobre 10 Sabato calendario

QQAN70 Mio caro Van Gogh, non eri un pazzo

QQAN70

Si può dire che questo libro abbia cominciato a nascere molti anni fa, nell’estate del 1986. Durante un viaggio in Olanda, in agosto, in treno, autobus, bicicletta e lungamente a piedi. Ho ritrovato da poco il diario che avevo tenuto in quelle due settimane, cominciate dal Kröller-Müller Museum, il tempio più particolare e caratteristico dell’opera di Van Gogh nel mondo. Particolare perché nato dalla precoce passione di una donna straordinaria, Helene Kröller-Müller, che tra il 1908 e il 1920 costituì la più strabiliante collezione al mondo di opere, sia dipinti sia disegni, di Vincent van Gogh. E non lo sapevo allora, ma quel museo sarebbe diventato uno dei riferimenti principali della mia attività di curatore.
In quel diario ritrovato scrivevo, arrivando con l’autobus nello splendido parco di Hoge-Veluwe dove ha sede il museo: «È uno strano pezzo d’Olanda, dove il verde senza fine lascia posto a una savana bruciata, percorsa velocemente da qualche auto e da molte biciclette. Non era certo quello che ci saremmo aspettati di trovare, ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine».
Il libro parte da quei giorni ormai lontani, della mia piena giovinezza, e racconta la vita e l’opera di Van Gogh facendo continuo riferimento alle sue lettere, che diventano quindi non solo l’occasione per lo svolgimento di una vera e propria trama, ma anche il riferimento assoluto pagina dopo pagina. Quasi come fosse Van Gogh, almeno in alcuni capitoli, a raccontarsi, in una sorta di autobiografia che non ha mai scritto. La vita si intreccia con l’opera e ugualmente l’opera entra nella vita. Si è vista poche altre volte nella storia dell’arte, forse mai, una figura simile. Le lettere ci aiutano a districare questa matassa.
Lo studio durato quindici anni, da parte di un gruppo di storici dell’arte del Van Gogh Museum di Amsterdam, è sfociato nella pubblicazione di sei, straordinari volumi nel 2009. Esso rappresenta lo sforzo più imponente per arrivare alla definizione dell’epistolario di Vincent van Gogh. Con l’aggiunta di una lettera ritrovata nel 2012, e catalogata con la sigla 1a trattandosi effettivamente della seconda in ordine di data, il 26 ottobre 1872, si tratta di 903 lettere totali. Tra queste, 820 scritte da Vincent van Gogh e 83 a lui indirizzate. Fra tutte, 586 sono state redatte in olandese, 310 in francese e 6 in inglese. Sono 140 le lettere che contengono degli schizzi, il cui numero totale è di 220. Le lettere rivolte al fratello Theo sono 658, mentre gli altri destinatari che possono vantarne il maggior numero sono il giovane pittore olandese Anthon van Rappard con 57, poi Émile Bernard con 22 e la sorella prediletta Wil con 21.
Le lettere hanno contribuito enormemente alla crescita della fama di Van Gogh dopo la sua morte ed è impossibile pensare a qualsiasi analisi e racconto della sua vita e della sua opera senza prenderle in considerazione come riferimento ineludibile. Colgono un aspetto di universalità e dunque coinvolgono tutti noi, sia come altissimo documento letterario sia come implacabile descrizione della condizione umana. Hanno un tono che ci fa capire come Vincent le avesse pensate fin da subito non riferite soltanto alla persona cui le indirizzava, il fratello Theo per primo, ma appunto quale molto più generale riflessione. Non hanno infatti un aspetto diaristico, perché quasi mai si soffermano sui fatti che quotidianamente gli accadevano. Sono invece un continuo tentativo di investigazione sulla creazione e sull’essere.
La pubblicazione di stralci delle lettere, poco dopo la morte di Van Gogh, è stato un elemento fondamentale nella crescita graduale della sua notorietà. Come per nessun altro artista, per di più quasi incompreso almeno fino all’ultimo anno della sua esistenza, le lettere sono tantissime e sono documenti talmente vivi da apparire perfino urticanti.
Quelle che oggi conosciamo sono certamente solo una parte di quante ne aveva scritte e ricevute. Mancano per esempio tutti i documenti prima del 1872, quando Vincent aveva già 19 anni. Sappiamo che corrispondeva molto con i vari componenti della famiglia, ma niente è sopravvissuto. Da un calcolo approssimativo fatto, si possono stimare in ben oltre 2000 quelle che avrebbero potuto rientrare in questo scambiarsi notizie. Del resto, era andato via di casa, per lavorare da Goupil all’Aia, a soli 16 anni e scrivere all’epoca era il solo modo per restare in contatto e appunto comunicarsi informazioni. L’abitudine era quella di bruciare tutto, o quasi, a ogni cambiamento di casa e quelli di Van Gogh sono stati addirittura quasi quaranta.
È probabile che Theo abbia salvato più o meno tutto quello che Vincent gli aveva scritto, conservando le lettere in quella credenza che Jo Bonger scopre al suo arrivo nell’appartamento di Cité Pigalle, subito dopo il matrimonio con Theo nell’aprile 1889. Al contrario, pochissimo di quello che Vincent aveva ricevuto si è salvato, e in alcuni casi ciò si deve al fatto che inseriva nelle buste per il fratello le missive che gli erano giunte, per esempio da Gauguin.
Nel 1892 alcuni stralci di lettere, sia in olandese sia in francese, sono ripresi nel catalogo di una prima, piccola mostra di disegni di Vincent organizzata da Jo ad Amsterdam, al circolo artistico «Arti et Amicitiae». L’anno successivo stralci più ampi vengono pubblicati da una rivista d’avanguardia olandese, mentre tra il 1893 e il 1897 Bernard pubblica nel «Mercure de France» alcuni estratti di quelle che Van Gogh gli aveva inviato. L’interesse che questa iniziativa suscitò fu molto ampio. Queste parti furono pubblicate in tedesco dall’editore berlinese Bruno Cassirer, cugino del famoso gallerista Paul Cassirer che già nel 1901 espose opere di Van Gogh. Le lettere vennero incluse nella rivista «Kunst und Künstler» tra il 1904 e il 1905, successivamente raccolte in un libro che ebbe molte ristampe. Nel 1905 uscirono in Olanda le lettere a Van Rappard e nel 1911 quelle a Émile Bernard in un’edizione di pregio.
Chiaramente fu l’edizione in tre volumi del 1914, curata da Jo e intitolata «Vincent van Gogh». Lettere a suo fratello, a costituire il punto di svolta. Si trattava della corrispondenza completa tra Vincent e Theo e doveva rimanere per lunghi anni il vero punto di riferimento in materia. Sono più di 1200 i fogli di carta a contenere le lettere di Van Gogh, fragili e ingiallite, con una scrittura piuttosto piccola. Il problema è che l’inchiostro utilizzato era su base ferrosa e molte volte ha corroso la carta. Soprattutto quando usava tanto inchiostro negli schizzi, la leggibilità del testo sul retro risultava compromessa.
Il lungo lavoro di preparazione da parte di Jo Bonger, in vista della pubblicazione dell’epistolario tra i due fratelli Van Gogh, culmina con una suggestione piena d’amore. In quello stesso 1914, all’inizio del mese di aprile, all’aprirsi della primavera, decide che Vincent e Theo debbano tornare vicini, l’uno accanto all’altro. Per sempre. E quante volte parlando di Vincent si nomina il «per sempre». Così trasferisce le spoglie mortali di Theo dal cimitero municipale di Utrecht a quello di Auvers-sur-Oise, dove il pittore se n’era andato dal mondo alla fine di luglio del 1890. Per le conseguenze della sifilide, Theo era morto paralizzato in un manicomio alla fine di gennaio del 1891, sei mesi dopo il fratello. Così tu adesso puoi vedere le pietre povere delle loro tombe, insieme, in quel villaggio nel nord della Francia, sotto l’azzurro del cielo, in mezzo ai campi di grano.
Lavoro da vent’anni sulla vita e sull’opera di Van Gogh. Per scrivere questo libro ho riletto tutto il suo epistolario, ne ho tradotto nuovamente alcune parti, ho consultato documenti e ricerche. Per andare oltre, ben oltre, il cliché del pittore pazzo. Van Gogh non era pazzo e ho provato a dirlo, a raccontarlo, non interpretando ma appoggiandomi sempre alle sue lettere, al suo senso del destino.
Nel suo bel libro del 1992, Malinconia, Eugenio Borgna, in un paragrafo intitolato La follia che nasce dalla saggezza, esprime un’idea generale che a me pare non soltanto assai condivisibile, ma anche molto aderente al «caso» dell’artista olandese: «Le grandi esperienze psicotiche non sono tematizzate dal naufragare originario della ragione ma, semmai, dalle crisi tumultuose della vita emozionale che si riflette sulla vita razionale. Nella esistenza psicotica la ragione continua a vivere e ad agonizzare (anche); ma non diversamente da quello che avviene nel contesto di una esistenza estranea alla psicosi». Per continuare così: «In ogni caso l’esistenza psicotica non è mai l’epifania dell’anarchia del senso (della perdita del senso e della trionfalizzazione della insensatezza): delineandosi in essa svolgimenti di senso che adombrano un senso altro da quello quotidiano».
Osservazioni che fotografano perfettamente la condizione psicotica di Van Gogh, legata a una strenua fedeltà rivolta alla realizzazione di un desiderio, quello di diventare un artista. Il suo amore incondizionato, e tutto condizionante, per il disegno e la pittura, lo spinge a essere quell’eroe che ogni cosa della sua vita sacrifica, con il rischio, diventato sempre più concreto, di andare oltre certi confini. È in questa perdita di equilibrio, in questa incapacità di scindere la sua devozione all’arte e il pericolo della vita, che sempre di più Van Gogh è diventato un eroe malinconico. Colui che ha progettato il suo incontro con il mondo, che ha visto il baluginare della luce, ha sentito il respiro affannoso proprio della vita che si distende fino a disperdersi. Ha insomma vissuto la condizione del pericolo, sorta dalla condizione malinconica.
Il libro mi è sorto tra le mani così. Con un’emozione che traboccava, nel pellegrinaggio continuo nei suoi posti sotto il cielo. Per esempio, la casa di cura di Saint-Rémy. Perché bisogna andarci, a Saint-Rémy e nella campagna attorno. Dove Van Gogh ha camminato e lavorato un anno intero, dal maggio del 1889 al maggio del 1890. È un’emozione senza fine, da scoppiare e non riuscire a restare dentro. Si guarda, si cammina, si fa solo silenzio per vedere ciò che si sente. L’ombra che rincorre il sole e rincorre le api e tutto è un profumo, tutto un annuncio. Ecco, ho provato a raccontare la sua storia con questo sentimento del mondo e del destino.