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 2020  ottobre 10 Sabato calendario

1QQAFM10 Diario di scrittura di Simonetta Agnello Hornby

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Dopo avere scritto Caffè Amaro sentivo di aver aperto una strada, che appena oltre urgevano altre storie e altri personaggi. Volevo superare il gomito della guerra e spingermi più in là. Tanto che ho pensato a una trilogia, di cui Piano nobile è il secondo capitolo.
Amici e soprattutto molti lettori mi motivavano: «Che è successo a Rita, la figlia di Maria» e «E la mafia? Devi parlarne !». Spiegavo che la mafia c’era, in attesa. Dunque dovevo scrivere di Rita, la figlia di Maria e Giosuè, e inventare la famiglia del suo innamorato, Rico Sorci.
Mi aggiro nella «Palermo vecchia» dove vissero i miei antenati, gente benestante di paese, con una baronia, che dopo l’unità d’Italia vollero una casa a Palermo. È pensando al destino di quei lontani parenti che è nato questo romanzo. Le storie vengono e si accavallano, giacché le storie spesso non si inventano, fanno tutto da sé, esistono già, devo solo raccoglierle. I personaggi mi spingono in un mondo loro, fanno, per modo di dire, come facevano i miei clienti nello studio legale a Brixton che mi presentavano un problema che si allargava, e allargandosi si complicava e assumeva sfaccettature inattese. Nello studio legale di Brixton io ascoltavo e trovavo, con i miei clienti, la soluzione più efficace e anche più fondata, perseguibile. La decisione finale spettava a loro, non a me. E così è stato con i personaggi e le storie di questo libro.
Nella primavera del 2019 ero a Mosè, la nostra campagna, assieme a mia sorella Chiara. Facevamo insieme l’annuale pulizia delle cristalliere della sala da pranzo, piene dei faldoni e dei libri portati da papà quando aveva svuotato le stanze dell’Amministrazione del palazzo di famiglia che era in vendita. Le carte erano state raccolte «a muzzo» (cioè senza alcun criterio), da uno scaffale all’altro, e accatastate nelle casse. Più della metà era stata lasciata nella casa vecchia, probabilmente erano state buttate. Lui non teneva al passato né al casato, sosteneva che pochi avevano il sangue degli antenati di cui si gloriavano: «I cornuti sono più di quanti si pensi; noi che discendiamo da un Giovanni dell’Agnello pisano esiliato in Sicilia secoli fa, probabilmente non abbiamo una goccia di sangue pisano». Mia madre aveva ascoltato silenziosa, ma intervenne con un fievole: «Ma che dici? Pensa a tua madre, a tua nonna...». Lui la interrompeva: «Nei secoli, dico. Anche noi in famiglia, oggi, qualche cornuto dovremmo averlo».
Sapevo poco e niente sulla mia famiglia. Papà ne parlava con parsimonia, preferiva reminiscere dei fattori, del personale domestico e dei commercianti, «gente che lavora fino a quando muore, a differenza di noi che abbiamo vissuto quasi da parassiti». Diede a noi figlie tre insegnamenti non tanto graditi a nostra madre: non sposare, non avere figli, mettersi a lavorare. Lui credeva che chi viveva di rendita avrebbe dovuto estinguersi naturalmente.
Piano Nobile è nato così, frutto della mia immaginazione, che è sempre e comunque una immaginazione contaminata sanamente dalla realtà e infatti qua e là affiorano posti, frasi e storie che mi sono state raccontate. Ho cercato di descrivere la prigionia dei ricchi e la disumanità delle società in cui il figlio maggiore deve seguire la carriera o il lavoro del padre e rimanere nell’immobilità sociale.
Li amo tutti, i miei personaggi, tre in particolare: Rico, figlio di Cola ed erede del titolo, che voleva rompere con la tradizione e fare la carriera militare ma non poté per una disabilità di guerra. Fu costretto a rientrare nel solco dei suoi antenati e a ripeterne lo schema comportamentale. Dopo Rico penso con particolare affetto a sua cugina Mariolina, una donna sensuale che osa uscire dai pattern sociali, ma non al punto da rinunziare alla maternità. E infine c’è Carlino, figlio di un amore trasgressivo tra Cola, padre di Rico, e sua cognata Laura, e rancorosamente accettato dalla famiglia per evitare scandalo. Carlino è omosessuale. Adorato dal padre naturale, Cola, e dalla madre, Laura, donna di nobili origini, è privo dell’affetto dei fratelli, che riceve però da Rico, il futuro barone.
Mariolina, Rico e Carlino si sostengono, sopravvivono alla guerra meglio degli altri cugini. Intuiscono che il potere della mafia penetra tutti gli aspetti della vita di Palermo e della Sicilia, e mantengono ciascuno una dignitosa integrità.
Peppe Vallo, il figlio illegittimo del vecchio barone Sorci, emigrato in America, ha fatto fortuna e ritornato in Sicilia, rifiuta di conoscere il padre.
Le ore più belle della genesi di questo romanzo sono quelle passate con mia sorella sciogliendo i lacci dei faldoni e leggendo il materiale dell’archivio. Abbiamo rivissuto la Sicilia di fine ‘800 fino al 1940. Tutti i personaggi minori, dai bottegai ai poveri aiutati dalla famiglia, sono stati ispirati dalle lettere di ringraziamento inviate al mio bisnonno e a mio nonno e riposte con cura ordinate per anno e soggetto.
Mi ha commosso la dedizione a persone povere e la generosità verso i malati, apprese dalle lettere di condoglianze di «gentuzza», professionisti e commercianti che descrivono il mio bisnonno come gentile e generoso; ma da quanto detto lui non meritava questa fama.
Ho scelto tre fortissime passioni che considero indicative. La prima, il vero affetto che lega un cliente alle proprie prostitute; l’elasticità delle classi alte nell’accogliere i figli nati da rapporti illeciti; e l’ultima, il genuino affetto tra padroni e servitori.
Mi piace pensare di consegnare alle mie lettrici, ai miei lettori quello che ho appreso dalle carte di famiglia: la fatica della coerenza e della trasformazione che in questa storia si incarna in personaggi sospinti dal desiderio di modernizzarsi, di diventare italiani pur mantenendo la propria identità siciliana, di dare un’istruzione a tutti i figli, maschi e femmine, per renderli capaci di lavorare e mantenersi.
Questo romanzo è stato scritto a casa mia, a Londra. Quando avevo incertezze o perdevo il filo, mi imbattevo nel quadro di nonna Maria sul cassettone nel salotto. Morta quando avevo 10 mesi, è viva nel mio ricordo, tanto se ne parlava in famiglia. Mio padre, suo genero, l’adorava. Gli occhi profondi in un volto sensuale, le rose di seta sul risvolto del vestito, i piedi timidamente incrociati, danno l’idea della donna di quel periodo. Intelligente, istruita, costretta a fare la padrona di casa, a non lavorare, a non avere la vita che avrebbe voluto. A differenza dei maschi, le donne del ceto della mia famiglia hanno tuttavia cercato di essere utili alla società, attraverso molte forme di beneficienza. E di questo sono fiera, come donna e come siciliana.
Il ritratto di nonna Maria è adesso la copertina del libro.