Una storia vera, come recita il titolo di un film di David Lynch. Che inizia con un dito mozzato che fa venire in mente l’orecchio trovato dal protagonista di Blue Velvet (sempre Lynch). E le coincidenze non finiscono qui come scopriremo più avanti. Tutto questo è Scheletri, il nuovo graphic novel di Michele Rech ambientato ai tempi di quando non era ancora Zerocalcare, aveva una cresta punk rossa e fingeva di andare all’Università mentre in realtà passava la giornata in metropolitana. Qui conoscerà Arloc, un ragazzino che viene da una situazione familiare difficile, tenero e violento, che tenta di sopravvivere.
Ma in realtà dietro la trama avvincente e stratificata si cela una magnifica sinfonia su Roma, sui margini, sulla difficoltà di crescere, di trovare un senso. Sulla vita.
L’inizio di " Scheletri" è molto pulp: un dito staccato davanti al portone di casa tua.
«Volevo fare una cosa differente. Ho raccontato molti tipi diversi di storie in passato usando vari registri, adesso volevo sperimentarne di nuovi. E poi nella mia esistenza ci sono stati molti momenti " pulp" che non sono mai apparsi nella mia narrazione fumettistica» .
Davvero?
«Sì, ma non ne ho mai parlato perché sentivo di non padroneggiare quel tipo di linguaggio o perché andavano a toccare delle situazioni sensibili» .
Quanto c’è di vero nella storia?
«C’è molto di vero e molto di inventato. La premessa è vera: io un dito l’ho trovato. La risoluzione del motivo per cui ho trovato questo dito invece è un’invenzione nel senso che non ho mai saputo perché quel dito era finito lì e cosa c’era dietro» .
Ma davvero l’hai trovato proprio davanti a casa tua?
«In realtà era tra i tergicristallo della mia macchina avvolto in un fazzoletto, ma non credo fosse un avvertimento rivolto a me perché non ce n’era motivo. Anche i personaggi sono stati rielaborati: alcuni raccolgono caratteristiche di diverse persone e così i luoghi e i quartieri non sono quasi mai quelli dove i fatti si sono davvero svolti» .
Pensare che credevo che la cosa falsa fosse proprio quella del dito: ero convinto fosse una citazione di "Blue Velvet" di David Lynch anche perché vedo nella libreria dietro di te la foto incorniciata di Laura Palmer…
«Io sono un superfan di Twin Peaks e così qualche tempo fa l’avevo messa lì. Poi ho scoperto che mio padre, che ogni tanto viene a trovarmi, ha chiesto a mia madre se "la ragazzetta nella foto era la mia fidanzata": mi ha fatto così ridere che da allora la tengo sempre in vista!» .
Il protagonista con te della storia è Arloc, un ragazzo che incontri in metropolitana: lui è reale o fittizio?
«Non vorrei addentrarmi troppo nella questione. Diciamo che riprende persone che sono esistite nella mia vita (ride)» .
Lui fa delle cose piuttosto efferate, se non criminali tipo colpire un nemico con delle forbici in faccia o prendere a bottigliate per gelosia Osso, un amico tossicodipendente, però è molto intelligente, curioso: ti chiede libri da leggere…
«Per questo non ho mai voluto dare una lettura politica di fatti come quelli di Colleferro: avendo visto da vicino certe storie, secondo me non si può leggere tutto nell’ottica fascismo/antifascismo tradizionali ma si tratta di un problema più grosso e trasversale. In parte è anche un problema forte di educazione dei cosiddetti "maschi alfa"» .
Il tema della violenza mi sembra sia centrale in "Scheletri" e anche per questo si differenzia dagli altri.
«L’ho finito prima dei vari fatti di cronaca ma non c’è dubbio che nel discorso pubblico si parla male della violenza perché è un grande rimosso. Invece ci riguarda tutti e non solo le "bestie" che vivono in periferia dove non è arrivata la civiltà, altrimenti non riusciremo mai a capire quello che succede. Io volevo proprio parlare di questo, della complessità delle persone che possono usare la violenza ma al tempo stesso hanno curiosità, interessi, addirittura credono nel progresso sociale e così via. Il che non esclude che possano avere anche reazioni violente in certe circostanze perché le persone sono sfaccettate e contraddittorie» .
Infatti a un certo punto dici "Roma è un cazzo di zoo": la marginalità è marginalità insomma, non può essere edulcorata con il famoso "buonismo". Questo libro si svolge in un periodo piuttosto lontano nel tempo per poi ritornare al presente. Ci sono delle differenze tra la Roma di ieri e quella di oggi?
«Non vorrei fare un’analisi viziata dal fatto che io oggi faccio una vita diversa. Dal punto di vista della politica gli anni dal 2003 al 2009 sono stati molto più violenti: c’erano molte più aggressioni naziste, roghi di spazi occupati e così via. Dopodiché gli attacchi ai più deboli, i cosiddetti "banglatour" sono qualcosa che sfuggiva e sfugge ancora in buona parte alle cronache. I soggetti più vulnerabili, dal cittadino con la pelle nera alle coppie omosessuali, sono sempre a rischio. E anche la violenza nei rapporti umani dei vari quartieri di Roma direi che è rimasta invariata.
E anche lo spaccio c’è sempre stato» .
Ecco, lo spaccio è un altro dei temi del tuo graphic novel. A me invece sembrerebbe aumentato a giudicare dai recenti omicidi, da Diabolik alla persona uccisa a Ostia… «Il vero cambiamento è avvenuto quando è calato il prezzo della cocaina. Da lì in poi si è diffusa ovunque e ha aumentato il livello di aggressività anche in ragazzini molto giovani cambiando la faccia di molti quartieri. Ma ormai sono molti anni che questa cosa va avanti» .
Una volta c’era la divisione tra le droghe "fasciste" come la cocaina e quelle che invece "espandevano l’area della coscienza".
«E adesso invece non c’è più. Il problema della cocaina non è solo l’aggressività ma anche il fatto che introduce una certa fascinazione per il mondo della malavita anche da parte di persone che vengono da ceti alti. Vedi tutta la storia della destra radicale della Roma "bene" che è finita a fare le rapine perché anche solo per comprarla entri in contatto con un certo mondo criminale. Per cui si tratta davvero di qualcosa che inquina il vivere civile».
Secondo te le famose serie tv come "Gomorra" o "Romanzo criminale" contribuiscono a questa fascinazione?
«A me Romanzo Criminale è piaciuto molto, ben consapevole del fatto che la banda della Magliana è stata una delle cose peggiori di questa città.
Non condanno le fiction e non credo che producano fascinazione, però è vero che manca un racconto diverso, una trasmissione di valori differente attraverso l’immaginario» .
Ci sei tu con il tuo racconto che comunque arriva a molta gente. O anche i Centri Sociali che un temporiuscivano a fare cultura sul territorio anche se oggi mi sembra che questo succeda sempre meno...
«I Centri Sociali subiscono da sempre una guerra continua: vengono criminalizzati, sgomberati e con il Covid si è bloccato quello che è il loro principale scopo: l’aggregazione. E poi è vero, molte delle nuove sottoculture come la trap, non nascono lì dentro a differenza di quello che era successo con il punk e con l’hip hop. Però, dove ci sono e dove lavorano penso che rendano i quartieri più vivibili. In tanti posti dove c’erano situazioni a rischio pogrom, di guerre tra poveri e così via, se non sono esplose, è stato anche grazie ai vari movimenti di lotta per la casa, per l’accoglienza e così via. Quindi per me servono ancora ma non sono sufficienti a fare fronte al disastro di questi anni» .
La tua è una voce importante ormai nel dibattito politico/culturale nel senso che le tue dichiarazioni in tv e non solo, vengono riprese dai vari media: come vivi questa cosa?
«Male. Per me è problematica per tanti motivi, per esempio se mi capita di dover parlare con persone che vogliono mandare in galera i miei amici. Accetto il confronto ma non voglio diventare una persona diversa da quella che sono sempre stato».