la Repubblica, 10 ottobre 2020
A proposito del Nobel al World Food Programme
«Fino a quando non avremo un vaccino medico, il cibo è il miglior vaccino contro il caos». Con queste parole la presidente del comitato norvegese ha annunciato che il Premio Nobel per la Pace quest’anno va al World Food Programme. È un Nobel che ha il valore di un allarme oltre che di un riconoscimento. Il coronavirus sta pesando in modo spropositato sui poveri della terra. Non tanto come calamità sanitaria, per adesso – il temuto maxi-contagio in Africa non si è verificato – ma perché la depressione economica globale uccide.
È il lato più feroce dei lockdown: s’impoveriscono gli strati sociali più deboli nei Paesi sviluppati; nelle aree povere del pianeta (70 nazioni con un miliardo di abitanti), la fame sta avanzando. Lo stesso World Food Programme (Wfp), agenzia Onu che si occupa di aiuti alimentari, prevede che tra le conseguenze indirette della pandemia il numero di persone che soffrono di denutrizione acuta potrà salire da 135 a 250 milioni entro la fine dell’anno. Altre fonti confermano questo scenario tragico. Secondo la ong Oxfam, l’ecatombe per fame rischia di arrivare a 12.000 morti al giorno; questa stima conferma che le vittime della denutrizione saranno superiori ai decessi per il Covid.
Gli esperti convergono in questa diagnosi: gran parte dell’umanità è già entrata in una catastrofe socio-economica più distruttiva del coronavirus. È un tema delicato per i suoi risvolti morali e politici, e per il modo in cui è stato strumentalizzato da questo o quel leader populista, però bisogna affrontarlo lucidamente: quando si dice che la depressione economica da lockdown uccide quanto la pandemia, o forse più, purtroppo questa è già la realtà quotidiana nell’emisfero Sud. Gli esempi sono numerosi.
In India le restrizioni alla mobilità della manodopera migrante hanno lasciato le campagne sprovviste di forza lavoro essenziale proprio durante i raccolti, spiega Oxfam, con ripercussioni gravi sull’approvvigionamento di cibo in un Paese da 1,4 miliardi di abitanti. Cento milioni di indiani che vivono come braccianti agricoli e forestali, hanno perso ogni reddito per l’intero 2020. In un Paese devastato dalla guerra come lo Yemen, il blocco dei viaggi per le misure di contenimento del contagio ha fatto crollare dell’80% le rimesse degli emigrati (un’alta percentuale degli yemeniti lavora all’estero nelle economie più ricche del Golfo Persico). Nel Sahel le chiusure di frontiere e altri ostacoli alla mobilità hanno impedito la transumanza e un’intera economia fondata sull’allevamento è allo stremo.
La fame avanza perfino nella nazione più ricca della terra, gli Stati Uniti. Un quarto dei residenti del Mississippi, un terzo dei bambini in Louisiana, stanno attraversando una situazione di «insicurezza alimentare».
Nessuno si salva da un disastro economico che il Fondo monetario internazionale quantifica così: nel biennio 2020-2021 il pianeta avrà visto sparire 12.000 miliardi di dollari di risorse. I Paesi meno sviluppati, che l’anno scorso crescevano mediamente del 5%, sono già retrocessi alla crescita zero: che nel loro caso vuol dire decrescita perché la popolazione continua ad aumentare. L’importanza di un’agenzia Onu come il Wfp è evidente.
In passato si è spesso voluto distinguere tra l’azione umanitaria “buona”, quella delle ong, e la “burocrazia umanitaria” dei grandi organismi internazionali. In realtà le stesse ong spesso cercano la cooperazione e l’appoggio dell’Onu e altre istituzioni intergovernative, per l’accesso che queste hanno in zone di guerra o regimi dittatoriali.La targa delle Nazioni Unite apre porte che per altri sono sbarrate.Il Wfp ha potuto fornire cibo a cinque milioni di profughi della guerra in Siria vittime di Assad; ha aiutato venti milioni di yemeniti; è impegnato perfino in un piano di soccorsi alla Corea del Nord, dove il regime comunista di Kim Jong-un investe in missili ma un’ampia quota della popolazione è denutrita. Sud Sudan e Repubblica democratica del Congo sono altre aree calde dove il Wfp è attivo e indispensabile. In tutto i suoi aiuti alimentari hanno raggiunto cento milioni di persone quest’anno.Il comitato Nobel ha sottolineato che queste istituzioni sono sotto tiro in un’era di unilateralismo. Donald Trump è un nemico dichiarato dell’Onu, però un’occhiata ai conti di quest’agenzia rivela delle sorprese. Gli Stati Uniti rimangono di gran lunga il primo finanziatore con 6,3 miliardi di dollari ovvero il 43% del totale; al secondo posto c’è la Germania che contribuisce con quasi un miliardo al bilancio del Wfp. La Cina dà solo 4 milioni.In un anno tragico in cui 90 milioni di persone in più stanno scivolando sotto la soglia della povertà estrema, tutte le nazioni più sviluppate sono chiamate ad assumersi la loro responsabilità. E andranno giudicate dalle azioni, non dalla retorica.