la Repubblica, 10 ottobre 2020
Raffaele Sollecito è sul lastrico
Dopo 4 anni di carcere, una serie infinita di processi e trasmissioni tv, Raffaele Sollecito venne assolto definitivamente dalla Cassazione nel 2015 per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, sgozzata a Perugia il primo novembre 2007. Ma l’innocenza non cura la depressione, non cancella dalla mente delle persone il pregiudizio e soprattutto non si trasforma in un bancomat quando devi ancora pagare – oltre ai 400 mila già anticipati da tuo padre – 300 mila euro a testa ai tuoi avvocati, uno dei quali è Giulia Bongiorno senatrice della Lega ed ex ministro, nonché fra i più noti penalisti italiani.
Per questa ragione il 37enne ingegnere informatico Raffaele Sollecito prosegue la sua battaglia contro lo Stato nella speranza di ottenere una qualche forma di indennizzo per il clamoroso errore giudiziario che lo ha riguardato. Nel 2017 la Cassazione gli ha negato il risarcimento per ingiusta detenzione e lui ha tentato un’altra strada. Ha fatto causa ai giudici che lo condannarono e lo ha fatto in base alla “legge Vassalli” sulla responsabilità civile dei magistrati per “colpa grave e/o dolo”.
I suoi avvocati hanno chiesto 3 milioni e 600 mila euro per danni materiali e non. Il processo si è radicato a Genova poiché del capoluogo ligure è la competenza per vicende giudiziarie che coinvolgano magistrati fiorentini, e proprio la Corte d’Appello di Firenze fu quella che condannò Sollecito e la sua ex fidanzata Amanda Knox prima della definitiva assoluzione.
I legali di Sollecito avevano sottolineato come il loro cliente fosse stato giudicato colpevole e rinchiuso in carcere per “plurimi travisamenti di fatti e di prove” e hanno riportato quelle parole durissime dei giudici della Cassazione sui processi: “Un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose defaillance o ‘amnesie’ investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine”. Ma ciononostante il tribunale di Genova non ha accolto la richiesta di Sollecito ritenendo che “tali ricostruzioni – per quanto possano non condividersi ed essere criticate – dimostrano tuttavia che l’Appello di Firenze è pervenuto ad esse all’esito di un processo valutativo e argomentato”.
Resta però agli atti il “costo” psicologico, sociale ed economico che Sollecito sta ancora sostenendo e che si può leggere nella sentenza genovese: “dovrà assumere farmaci per il resto della vita… sindrome ansioso depressivo… difficoltà di concentrazione… alterazioni del sonno, ipervigilanza, facilità al pianto, disperazione, scarsa autostima… comportamenti stravaganti ed estremi, isolamento”. E ancora: “deterioramento della capacità di stabilire rapporti con l’esterno, condizionati da pregiudizi…”. E poi i ritardi subiti nel suo percorso di studi, il “padre unico spettatore autorizzato alla sua laurea”, le “enormi difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, risultando agli occhi della gente un pregiudicato, se non addirittura colpevole, per un orrendo fatto di sangue”.
Infine i debiti con gli avvocati. Oltre alle spese legali per 400 mila euro (di cui 297 mila per difese, consulenze viaggi vitto e alloggio) già sostenute dal padre, per rifondere il quale Sollecito ha ipotecato immobili dell’eredità materna. Ma ai 400 mila “deve aggiungersi il saldo delle competenze professionali ancora dovuto”, ovvero 300.189,21 euro a Giulia Bongiorno e 336.022,92 a Luca Maori. Probabile un ricorso in Appello, ennesimo capitolo giudiziario di un caso infinito.