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 2020  ottobre 10 Sabato calendario

Intervista a Vandana Shiva

«Il cibo non è una commodity, è un diritto di base per l’umanità, simbolo di salute e libertà».

Vandana Shiva, nata nel 1952 a Dheradun, la capitale dello stato dell’Uttarakhand nell’India settentrionale, scienziata di punta nell’attivismo della sostenibilità, chiede con vigore che si colga l’occasione del premio Nobel al World Food Programme per garantire a tutte le genti del mondo una sana e corretta alimentazione, «oltre che educazione, salute, lavoro, rispetto». Dopo il PhD in Filosofia della scienza all’University of Ontario nel 1978, Vandana Shiva tornò quasi subito in India e, dopo una parentesi da ricercatrice all’Institute of Management di Bangalore, fondò la Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy. Ora si dedica anima e corpo alla missione che ha sintetizzato nel libro "Il pianeta di tutti: come il capitalismo ha colonizzato la terra" che è stato pubblicato in Italia da Feltrinelli l’anno scorso.
Il comitato di Oslo ha puntato nella motivazione sul contributo dell’agenzia alla lotta contro la pandemia. Qual è il collegamento fra le due piaghe, fame e coronavirus?
«Intanto, evidentemente chi ha fame si indebolisce e diventa più vulnerabile. Poi, la crisi economica flagella Paesi già poveri che vedono compromesso il delicato ma cruciale equilibrio che avevano faticosamente costruito.
Soprattutto nelle economie emergenti, produzioni agricole biodiverse ed ecologiche sono realizzate con criteri di rispetto dell’ambiente e di circolarità delle risorse. Riducono l’inquinamento e contribuiscono alla salute mondiale: questo circuito virtuoso si è rotto e per riavviarlo è fondamentale il ruolo delle agenzie dell’Onu, delle ricche fondazioni, dei governi, delle donazioni private».
Proseguirà nella sua campagna contro gli Ogm?
«Più che mai. Occorre ripristinare un equilibrio che riconosca e rispetti i limiti e i cicli dell’ambiente, e che contribuisca a ripararli quando sono spezzati. Il momento per l’umanità è difficilissimo, ma è l’occasione per ricordarci i nostri limiti e la necessità di preservare gli antichi equilibri. Non va disperso il patrimonio costituito da milioni di piccoli coltivatori che in ogni angolo del mondo, con sane tecniche tradizionali e meticolosità da formichine, sfamano il pianeta: è una battaglia continua perché l’agricoltura non cada preda delle multinazionali».
La pandemia sta anche ampliando le diseguaglianze nel mondo, già spaventose.
«È tristissimo ma è così. È atroce pensare che un ristrettissimo numero di miliardari sta aumentando la propria ricchezza durante la pandemia e i lockdown. Lo stesso pugno di uomini decide come cibo, salute, educazione dev’essere organizzato. Nel mondo non c’è più una democrazia diffusa ma un totalitarismo economico: è questo il problema centrale su cui concentrarsi, non è più sostenibile che centinaia di milioni di persone debbano fuggire lontano per sopravvivere o vengano spossessate dei loro beni».
Riconoscerà che l’Occidente si è rivelato consapevole dell’importanza dei problemi affrontati dal Wfp: vede ancora dei pericoli in termini di scarsa attenzione e strapotere delle multinazionali dell’agribusiness?
«Certo che ci sono ancora rischi, esacerbati da questa tragica pandemia che sta uccidendo centinaia di migliaia di persone in ogni angolo del mondo e dalla conseguente crisi di liquidità dei donatori occidentali. La povertà dilaga spinta dalla recessione, dal blocco della globalizzazione, dalla caduta della domanda e dei commerci che si accanisce sui prodotti esportati dai Paesi in via di sviluppo: la World Bank calcola che sia già passato da 1 a 1,4 miliardi il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, il più delle volte a livelli di malnutrizione spaventosi. La rapacità delle corporation che hanno acquisito a forza un oligopolio delle sementi modificate in laboratorio e perciò apparentemente più produttive, riempie i coloni agricoli del Sud del mondo di debiti che questi non sapranno mai come ripagare. Ripeto, il cibo non è una commodity come lo considerano le multinazionali e anche i governi».
In che misura le tensioni sui mercati alimentari e l’espansione della povertà contribuiscono ai conflitti armati, e viceversa quale potrebbe essere il beneficio di un miglioramento delle produzioni agricole?
«Le rispondo con una semplice formula: siamo una sola umanità e dobbiamo sentirci vincolati da un obbligo di solidarietà. I ricchi aiutino i poveri, e tutti mettano da parte i pregiudizi e le divisioni razziali, culturali, religiose.
Purtroppo queste fratture attualmente vengono amplificate dal "divide et impera" che sembra inestricabile nei governi e negli individui economicamente e politicamente più potenti.
Invece dobbiamo difendere i nostri comuni diritti, dal cibo al lavoro. Principi scritti nella maggioranza delle costituzioni e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Dobbiamo difenderli più che mai in momenti tragici come l’attuale, con unità e solidarietà. Non mi stancherò di combattere per questo».