Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  ottobre 10 Sabato calendario

L’inerzia nemica del paese

Credo che da molto tempo nessun elettore italiano dia il suo voto a questo o quel partito nelle consultazioni politiche in base a ciò che esso promette nei suoi programmi; né, all’inverso, che nessun partito (al di là di qualche gesto simbolico di nessun effetto pratico come il testé modificato «decreto sicurezza» con il quale Salvini pretendeva di aver fermato il fenomeno migratorio) riesca realmente – anche quando gli capita di andare al governo – di fare qualcosa di significativo di quanto ha promesso. Dando spesso l’impressione, peraltro, neppure di provarci. L’unica eccezione importante che mi viene in mente è quella dei 5 Stelle con il reddito di cittadinanza. Ma si è trattato per l’appunto di un’eccezione, verificatasi in seguito a due circostanze straordinarie: uno strepitoso successo elettorale e, per i grillini, la conseguente prima volta in assoluto al governo, per giunta in posizione di forza.
Deriva da quanto ho detto l’ormai congenita incapacità del sistema politico italiano, specie quando si tratta di cose importanti, di decidere e di far eseguire quanto deciso in tempi umani. Le cause sono conosciute, straconosciute da sempre, ma non si è mai trovato uno straccio di maggioranza o di governo che pensasse a porvi rimedio o ne fosse capace. Le enumero a titolo di promemoria:
a) la presenza costante di governi di coalizione (per loro natura rissosi), guidati da un primo ministro che in genere conta poco e non riesce ad avere il comando effettivo dell’attività dei dicasteri.
E per di più un premier che non può quasi mai sapere quanto durerà in carica (tutto ciò si deve al combinato disposto di una pessima seconda parte della Costituzione e di ancora «più pessime» leggi elettorali);
b) il numero spropositato di coloro che hanno titolo a prendere parte in un modo o nell’altro al processo decisionale: entità le più diverse titolari di pareri obbligatori, comitati interministeriali, tavoli di consultazione, conferenza stato-regioni, ecc. ecc.
c) la farraginosità esasperante di ogni genere di disposizione a cominciare dalle leggi, in genere preparate da uffici legislativi dei ministeri dove dominano schiere di legulei specializzati nel rendere complicate le cose, infarcirle di codicilli e clausole di ogni tipo, scriverle in un linguaggio ai più incomprensibile;
d) il governo occulto degli apparati burocratici di vertice, dominatori incontrastati dei regolamenti attuativi senza i quali quasi tutte le leggi non possono entrare in vigore (cioè padroni di farli, di farli subdolamente modificando in modo sostanziale le leggi suddette, o di non farli affatto rinviandoli alle calende greche);
e) infine, il controllo di legittimità sugli atti dell’amministrazione da parte del Tar, il ricorso al quale è ormai divenuto una prassi pressoché costante a proposito di ogni procedura, con una predilezione tutta particolare per quelle di appalto.
A questo elenco di ostacoli già di per sé imponente si aggiunge la povertà di visione, di coraggio e di statura della classe politica italiana degli ultimi vent’anni. In un regime come il nostro per decidere di fare qualcosa di importante e per riuscire ad avviarlo un uomo di governo o la sua maggioranza, infatti, devono avere il coraggio in certo senso di scommettere su se stessi. Devono essere convinti cioè che quello che decidono di mettere in opera (e che naturalmente vedrà la luce o mostrerà i suoi effetti positivi solo dopo un tempo abbastanza lungo) si rivelerà però una cosa così indiscutibilmente positiva che comunque gli porterà, sia pure dopo qualche anno, un risultato di consensi, anche se allora essi non saranno più al potere. E che glielo porterà in misura maggiore che se quell’uomo di governo e la sua maggioranza avessero deciso d’impiegare le stesse risorse nella distribuzione di mance e mancette d’immediato ritorno elettorale. Il guaio è che perché ciò avvenga sarebbe necessario, come ho detto, un universo politico diverso da quello italiano. Nel nostro Paese, infatti, da tempo governare non è sinonimo di fare o di cambiare le cose, bensì di occupare la maggior parte possibile di luoghi di potere con relativa distribuzione di nomine e di prebende, mentre essere parlamentari non vuol dire frequentare la Camera o il Senato ma essere invitati nei talk-show televisivi.
È così che l’Italia si è fermata. È così che si trova da almeno due decenni immersa nella palude del non decidere/non fare, delle decisioni che quando pure ci sono ci mettono poi un secolo a tramutarsi in realtà operanti. Non c’è un elettore, sono convinto, il quale non pensi, ad esempio, che il nostro sistema giudiziario vada profondamente cambiato, che la nostra Pubblica Amministrazione per come essa è attualmente organizzata costituisca sempre un esempio di inefficienza e troppo spesso un ostacolo alla vita e alle attività dei cittadini. Non c’è elettore, sono convinto, il quale non pensi che il nostro sistema scolastico e universitario nonché l’intero sistema della ricerca abbia bisogno di essere ripensato da cima a fondo, che l’ordinamento regionale così com’è non funziona; che il sistema attuale di accertamento tributario finisce per favorire l’evasione fiscale, che in una grande parte del Paese le condizioni dei trasporti urbani, dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti, delle periferie invochino interventi radicali e urgenti. Ebbene, potrà apparire stupefacente ma per nessuna di tali questioni si ha notizia che qualche partito abbia un’idea concreta di come cambiare davvero le cose, abbia un’ipotesi appena appena dettagliata di una nuova legislazione. Nulla.
Sono anni che il nostro sistema politico e di governo appare dominato da una sostanziale inerzia. E questo – in una società civile come quella italiana, vivacissima e piena di energia a livello molecolare, ma a livello generale incapace di aggregarsi per forza propria intorno a indirizzi di vasta portata, priva di una vera tradizione di movimenti collettivi dal basso – ha un effetto sostanzialmente paralizzante. Non a caso da anni il Paese è fermo. L’assenza di una guida che solo la vera politica può assicurare è la più certa premessa per il declino dell’Italia.