il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2020
Palloni, droni e formaggi. Così i telefonini entrano nelle carceri italiane
C’è chi ha lanciato un pallone. Chi ci ha provato con un drone. E chi con formaggio e salame. Nel solo biennio 2019-2020 sono entrati nelle nostre carceri ben 2.725 microcellulari. Un’impennata notevole se consideriamo i dati del triennio 2016-2018: rispettivamente 149, 252 e 502 apparecchi recuperati all’interno dei penitenziari. Il dato più grave riguarda la tipologia di detenuti che ha avuto accesso a questi telefoni. Per i detenuti in regime di media sicurezza si contano 1.420 telefoni nel 2019 e 1.036 nel 2020.Per quelli in regime di alta sicurezza le cifre oscillano tra i 201 del 2019 e i 269 del 2020. E quando parliamo di alta sicurezza ci riferiamo a tre categorie di detenuti. La prima riguarda gli appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso. La seconda include gli imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo (anche internazionale) o eversione dell’ordine democratico (mediante il compimento di atti di violenza). Infine la terza: chi ha rivestito un ruolo di vertice nelle organizzazioni criminali dedite allo spaccio di stupefacenti.
Il danno che può provocare un telefono cellulare nelle mani di un detenuto in regime di alta sicurezza non è difficile da immaginare: può comunicare con i suoi sodali – o sottoposti – mafiosi. Può continuare a gestire il narcotraffico. Può inviare messaggi con finalità terroristiche ed eversive. Ecco, ben 470 telefoni, nel solo biennio 2019-2020, erano destinati a detenuti con le potenzialità che abbiamo appena elencato. Il dato più incredibile, però, è che nessuno di questi casi ha mai rappresentato un reato. Fino a oggi s’è sempre trattato di un illecito disciplinare punito, di volta in volta, secondo il regolamento di ciascun penitenziario. Il regime cambierà in seguito alle norme che il ministero di Giustizia ha introdotto nell’ultimo decreto Sicurezza. Chi introduce in cella un cellulare destinato a un detenuto rischierà da uno a quattro anni di carcere. Stessa pena per il detenuto che lo riceve. Il caso più eclatante di questi anni risale senza dubbio al novembre 2019: a Parma, nella cella di Giuseppe Gallo detto “Peppe ’o pazzo”, detenuto al 41-bis, sono stati ritrovati ben tre cellulari (dotati di schede e perfettamente funzionanti). Le modalità per portare i microtelefoni nelle carceri sono piuttosto varie. C’è chi li introduce nel proprio corpo. Chi usa dei droni. Almeno due i casi registrati. Il primo a Secondigliano, nei mesi del lockdown, quando un apparecchio s’è abbattuto contro i muri del penitenziario. Il secondo sempre in Campania la scorsa settimana: trasportava – secondo GNewsonline il quotidiano online del ministero di Giustizia – ben 10 telefoni, altrettante schede telefoniche e 8 caricabatterie. Quando nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta, iniziavano a piovere pietre, s’è scoperto che si trattava di calcestruzzo con dentro un telefono incellophanato.
E sempre a Carinola persino un sacerdote, pronto a celebrare messa, è stato trovato in possesso di 9 telefoni nascosti dentro delle buste di tabacco. Ad Avellino 19 telefoni ritrovati nel fondo di una pentola. A Rebibbia c’è chi invece ha scavato nel formaggio, ci ha infilato un telefono, e ha ricomposto il tutto. Qualcun altro li ha infilati dentro un salame. Mentre ad Avellino ben 15 apparecchi sono stati ritrovati all’interno del più famoso dei palloni: il mitico Super santos.