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 2020  ottobre 09 Venerdì calendario

Il liberal per l’aia. Il buongiorno di Mattia Feltri

Si potrebbero dire parecchie cose a Matteo Salvini improvvisamente persuaso della necessità di una rivoluzione liberale (gliela sta insegnando Marcello Pera). Gli si potrebbe dire, per esempio, che infilare nella stessa intervista la rivoluzione liberale, la difesa dei decreti sicurezza e una predilezione per Viktor Orbán non lo avvicina moltissimo a Isaiah Berlin o a Karl Popper (professor Pera, tocca ricominciare da capo). Gli si potrebbe dire che tuttavia uno come lui, passato dalla leadership dei comunisti padani a quella dei sovranisti italiani, e dal secessionismo al nazionalismo, può benissimo diventare un liberale o un socialdemocratico umbro o un attivista del Canada francofono, ma prima o poi bisognerà prendere una decisione e chiusa lì. Gli si potrebbe dire che l’idea della rivoluzione liberale in Italia parte con Cavour, prosegue con Piero Gobetti (peraltro affascinato da Lenin, giusto per un cenno alla tortuosità e all’adattabilità del liberalismo), e noi l’abbiamo riscoperta con Silvio Berlusconi, ma di recente è stata un proposito di Massimo D’Alema, Antonio Di Pietro e persino di Luigi Di Maio («la rivoluzione liberale la faremo noi»); e cioè la rivoluzione liberale in Italia non è mai stata una pratica ma da qualche tempo non è più nemmeno una teoria, è una frase fatta: abboccare all’amo, menare il can per l’aia, fare la rivoluzione liberale. Ma in fondo sono tutti discorsi inutili e pure noiosi: l’unica cosa seria da dire a Salvini è che la rivoluzione liberale in Italia non s’è mai vista né mai si vedrà, e infatti non c’è, mentre invece c’è Salvini.