Corriere della Sera, 9 ottobre 2020
Lepri artificiali e scarpe da ginnastica "col tacco". Ecco come i maratoneti battono i loro record
Otto record battuti, tre «muri» invalicabili pronti invece a crollare: i 12’30” sui 5.000 metri e i 26’ sui 10.000 maschili, i 14’ sui 5.000 femminili. Dopo maratona e mezza maratona, anche la storia dei primati delle corse dell’atletica su pista è stata riscritta negli ultimi trenta giorni. Mercoledì sera a Valencia – in un meeting creato su misura per loro – l’ugandese Cheptegei (che ha da poco demolito quello dei 5.000 metri) e l’etiope Gidey hanno fissato due nuovi limiti sui 10.000 (26’11”02, 6” meglio di Bekele nel 2005) e 5000 (14’06”62), togliendo 5” al record di Tirunesh Dibaba del 2008. Segni particolari: l’utilizzo di scarpe (Nike) col tacco di 25 millimetri – il massimo concesso per le gare su pista – e di «lepri artificiali» accanto a quelle in carne e ossa: led colorati sul cordolo del tartan che si accendono scandendo implacabili il ritmo perfetto.
I puristi gridano allo scandalo e allo sport plastificato, Stefano Baldini (oro olimpico di maratona ad Atene 2004) no. «Non mi scandalizzo – spiega il reggiano – perché in un anno senza Olimpiadi e senza meeting alcuni atleti si sono concentrati sui primati (risparmiando le energie che spendevano in gare e trasferte) e perché fenomeni come Cheptegei ne nasce uno ogni vent’anni: i record sono fatti per essere battuti, lui è predestinato. I led sono solo più precisi delle lepri: io usavo segnali sonori per verificare i ritmi di allenamento».
E le scarpe? «Qui – continua Baldini – il discorso è diverso perché le suole spesse e il carbonio offrono certo dei vantaggi, ancora non quantificabili su pista. Non sappiamo se alla lunga possono provocare infortuni e non tutti gli atleti ne dispongono. Questa disparità tecnologica non è accettabile in uno sport dove tutti dovrebbero partire alla pari. Mi preoccupa anche l’aiuto che le suole possono offrire in prove come i 200 e i 400 metri dove l’elasticità del carbonio potrebbe cambiare i valori in campo».
Calzature e lepri aiutano atleti che provengono sempre dalle stesse zone dell’Africa. «Anche qui – continua Baldini – ci sono spiegazioni che vanno oltre tecnologia e doping. In nazioni come il Kenia i talent scout lavorano con più criterio e umanità del passato, negli altipiani ora ci sono buone piste di atletica e condizioni di vita migliori. Partendo da queste basi, logico che record vecchi di 15 o 20 anni possano essere migliorati. La tecnologia pura aiuta di più campioni un po’ avanti con gli anni a rinfrescare le loro prestazioni, come nel caso del record dell’Ora in pista di Mo Farah, un primato che non era stato attaccato seriamente da tanto tempo».
Che posto può avere l’Italia in questa evoluzione, considerando che Cheptegei mercoledì ha corso 10 chilometri alla stessa velocità con cui il bravissimo Yeman Crippa ha da poco stabilito il primato italiano dei 5.000 metri? Baldini: «Yeman è bravissimo, ma noi italiani dobbiamo cambiare stile di vita. Abbiamo giovani più fragili del passato perché purtroppo mangiano peggio e si muovono poco. Anche se hanno grande talento, da adulti sono molto più esposti al rischio di infortuni rispetto a chi è cresciuto all’aria aperta alimentandosi in modo più semplice.