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 2020  ottobre 09 Venerdì calendario

Biografia di Sebastiano Pigazzi Pedersoli, il nipote di Bud Spencer

La prima volta che ha tentato un provino per un film diretto da Gabriele Muccino, gli è andata male: è stato scelto un altro attore. «Ma non mi sono abbattuto, anzi, sono stato motivato a spingere in altre direzioni – afferma il 24enne Sebastiano Pigazzi Pedersoli —, come per dimostrare a me stesso che avevano sbagliato a scegliere l’altro attore». E adesso, il nipote di Bud Spencer (al secolo Carlo Pedersoli) è tra i protagonisti della serie Sky-Hbo firmata da Luca Guadagnino: We are who we are, da stasera su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv.
Una storia di formazione con protagonisti due adolescenti americani (interpretati da Jack Dylan Grazer e Alice Braga) che con le loro famiglie vivono in una base Usa in Italia. «Il mio personaggio, Enrico, è un ragazzo veneto, un po’ borderline – spiega l’attore —, ma ama il gruppo di amici americani e cerca di farli divertire. È un tipo strano». Strano il modo in cui Sebastiano è stato scelto dal regista. «Un’occasione, nata per caso – racconta – Ero in aeroporto, stavo rientrando a Roma da New York. Mentre aspettavo il mio volo, che era in ritardo, al gate chi ti incontro? Proprio Guadagnino! Ci guardiamo. Poi il regista si siede e mi son detto: o adesso o mai più. Mi siedo accanto, gli attacco bottone e mi ha scritturato. Era destino».
Un destino segnato dalle sue ascendenze: è figlio di Diamante, ultimogenita di Spencer, e pronipote, da parte della nonna, del produttore Giuseppe Amato. «La passione per la recitazione l’ho sempre avuta – confessa – ma anche scettico sulle mie capacità». Nonostante nonno e bisnonno così famosi? «Impossibile paragonarmi, esempi irraggiungibili. E poi nonno non ha mai incoraggiato i suoi parenti stretti a percorrere la sua strada. Sapeva che questo è un mestiere complicato».
Che nonno era col nipotino? «Non quello che ti racconta le favole, era più amico che nonno. Spesso giocavamo a scopa. Ma il ricordo più bello è quando restammo svegli fino all’alba per vedere le Olimpiadi. Era in là con l’età, ma giovanilissimo. Abbiamo scherzato tutta la notte».
La scelta dello pseudonimo Bud Spencer è un enigma. «Hanno detto che fosse appassionato di Spencer Tracy e che bevesse la birra Budweiser. Non gli ho mai visto guardare i film di Tracy né bere quella birra».
Il suo insegnamento più importante? «Non diceva mai “ok, mi fermo qui”, andava oltre. E non dimentichiamoci che fu campione di nuoto, pilota di aerei, elicotteri... Ricordo un episodio che mi raccontò. Quando era centravanti della Nazionale pallanuoto, aveva un avversario tosto che, durante la gara, gli sferra un pugno sott’acqua, molto scorretto. Nonno incassa la botta ma, mentre l’arbitro era distratto, ricambia con una gomitata nelle parti basse. Una lezione importante: non farsi mai mettere i piedi in testa».
Il film più amato dal nipote? «Piedone l’africano per il suo rapporto con il ragazzino africano Bodo, di cui prese le difese antirazziste. Lo chiamavano Trinità, un classico insuperabile. La coppia Spencer-Hill è stata snobbata dalla critica, ma quei film ora sono dei cult». Insomma, un nonno sui generis: «Quando ho incontrato Guadagnino, non ho detto che ero il nipote di... Poi il regista lo ha scoperto e mi ha detto: “Tuo nonno è una leggenda”. Mi ha fatto piacere».