Corriere della Sera, 9 ottobre 2020
Ultime sul processo a Palamara
Luca Palamara va espulso dalla magistratura. Radiato perché con le sue trame per pilotare le nomine dei procuratori di Roma e Perugia, assieme ai deputati Cosimo Ferri (magistrato pure lui) e Luca Lotti (imputato proprio nella Capitale) ha organizzato una «indebita manipolazione dei meccanismi decisionali istituzionali, in maniera occulta e con soggetti che avevano un diretto interesse alle nomine». L’ormai nota vicenda della notte dell’hotel Champagne, quando tra l’8 e il 9 maggio 2019 Palamara, Lotti e Ferri si incontrarono con cinque componenti del Consiglio superiore della magistratura (poi tutti dimissionari) è giunta all’epilogo: ieri davanti alla Sezione disciplinare del Csm hanno parlato accusa e difesa, oggi le repliche e le dichiarazioni spontanee dell’incolpato (a sua volta ex componente del Csm ed ex leader dell’Associazione magistrati, che l’ha già cacciato), quindi la sentenza.I rappresentanti della Procura generale della Cassazione, Piero Gaeta e Simone Perelli, hanno chiesto la sanzione massima: radiazione dall’ordine giudiziario, perché ciò che accadde in quella riunione notturna «è un unicum nella storia della magistratura»; il difensore, Stefano Giaime Guizzi, ha invece sollecitato l’assoluzione e semmai, se proprio si dovesse arrivare a una condanna, la sospensione dalle funzioni per due anni, in attesa dell’esito del processo penale che attende Palamara a Perugia, dov’è imputato per corruzione.
Sui dialoghi dell’hotel Champagne, intercettati su ordine della Procura umbra con un trojan nel cellulare del magistrato inquisito, Palamara non ha voluto rispondere alle domande degli accusatori, perché ritiene illegittime quelle registrazioni. E così Gaeta e Perelli hanno avuto gioco facile a ripetere le frasi che – nella loro ricostruzione – inchiodano Palamara all’«illecito condizionamento» dell’attività del Csm nella scelta dei procuratori di Roma e Perugia, con l’obiettivo di essere successivamente eletto procuratore aggiunto.
La difesa
«Normali i contatti con i politici: certe nomine sono atti di altissima valenza politica»
«Se non ci fossi io a fare tutto qua non si muoveva una foglia», diceva Palamara a un collega due giorni prima, il 7 maggio. «Mo’ risolviamo il discorso del procuratore... Da qui parte tutta la catena... Procura di Roma, aggiunti e Perugia devono partire tutti in blocco... Il patto che io avevo fatto se viene Viola (il candidato di Palamara per Roma, ndr) è già fatto». Poi nella riunione all’hotel Champagne c’è la conferma del piano, con Ferri che dice: «Se va lo schema Viola dobbiamo vedere il nome per Perugia e poi gli aggiunti»; e Palamara: «Politicamente bisogna sedimentare».
Per la Procura generale, che rivendica la regolarità e le più ampie garanzie concesse sia nell’indagine che nel processo disciplinare, il contenuto di questi dialoghi è fin troppo chiaro. E non vale ribattere che così s’è sempre fatto per assegnare gli incarichi, perché siamo ben oltre la spartizione delle nomine tra le correnti: «Qui c’è una congiunzione di elementi e interessi personali estranei alle dinamiche tradizionali, che non s’è mai vista. Una vera e propria macchinazione. Altro che porto delle nebbie, qui siamo al porto delle tenebre per sovvertire le regole dello Stato di diritto, con un disegno occulto e inconfessabile».
Niente di tutto questo, ovviamente, per Palamara e il suo difensore. Quella all’hotel Champagne non era una riunione, ma un semplice incontro «dove si è fatta una prospettazione di scenari, in una situazione fluida per la nomina del procuratore di Roma, alla quale Lotti non era interessato e non poteva dare alcun contributo decisionale. Sembra House of cards, ma sono le normali dinamiche consiliari». Per Guizzi, magistrato di Cassazione, non c’è niente di male a parlare anche con i politici, perché «certe nomine sono atti di altissima valenza politica», e ritorna – come fosse un’ossessione della difesa di Palamara – sugli incontri con Lotti per l’elezione del vicepresidente del Csm David Ermini. Fino a concludere: «Possiamo dire che si tratta di comportamenti gravemente inopportuni, sintomo di un eccesso di contiguità tra politica e magistratura, ma non è un illecito disciplinare. Si tratta di responsabilità politiche ed etiche che non sta a voi giudicare».