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 2020  ottobre 09 Venerdì calendario

Padre Pier Luigi Maccalli, rapito nel 2018, e il viaggiatore Nicola Chiacchio sono stati liberati in cambio della liberazione di duecento militanti islamici

È finita la trattativa per la liberazione in Mali degli ostaggi occidentali rapiti negli ultimi anni nell’ampia regione del Sahel da parte dei gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda. Tra quelli rilasciati ieri anche due italiani: il missionario Pier Luigi Maccalli e il turista-viaggiatore Nicola Chiacchio. Ma il prezzo da pagare è molto alto: quasi duecento pericolosi militanti islamici liberati tra coloro che nell’ultima settimana erano stati catturati o condannati dalle autorità di Bamako vengono messi in libertà. Uno scambio di prigionieri in piena regola, a cui hanno partecipato attivamente le autorità del Mali coadiuvate dai militari francesi attivi nella regione e dai servizi d’informazione italiani. Segno che l’Africa sub-sahariana resta più che mai terreno di crescita del jihadismo qaedista, pericoloso e attivo dal Mali, al Niger, al Burkina Faso, sino alla Libia meridionale e di recente anche in alcune zone di Congo e Kenya.Secondo i comunicati che giungono da Bamako, i prigionieri liberati sarebbero almeno quattro. L’operatrice umanitaria francese Sophie Petronin: era stata rapita in Mali nel dicembre 2016. La sua prigionia è durata ben 1.380 giorni. Un altro è l’ex ministro maliano Soumalla Cisse. Si ritiene che i loro rapitori siano parte di un gruppo collegato ad Al Qaeda e noto localmente come Jama’a Nusrat ul Islam. Pare siano specializzati nel rapimento di stranieri: avrebbero infatti avuto nelle loro mani altri cinque ostaggi, tra cui il medico australiano Ken Elliott, la svizzera Beatrice Stockly e la suora colombiana Gloria Cecilia Narvaez Argoti.
Lo scambio
La contropartita sarebbe stata la scarcerazione
di quasi 200 miliziani
In Italia la vicenda di padre Maccalli ha sollevato non poche inquietudini. Nato nel 1961, formatosi nella diocesi di Crema, un veterano delle missioni cattoliche in Africa, prima in Costa d’Avorio, dal 2007 aveva operato nella parrocchia di Bomoanga, circa 150 chilometri a sud-ovest della capitale del Niger. Il suo rapimento era avvenuto nella notte tra il 17 e 18 settembre 2018. I suoi amici e collaboratori nella Società delle Missioni Africane avevano raccontato di un gruppo di uomini armati e molto bene organizzati. Sapevano del suo recente rientro da una vacanza in Italia ed avevano pianificato il sequestro. Un anno dopo, nel corso di una visita in Niger dell’ex presidente del parlamento europeo Antonio Tajiani, erano stati gli stessi giornalisti maliani a raccontare del caso di Maccalli come prova drammatica della crescita di Al Qaeda in stretto rapporto con i gruppi locali di Boko Haram. «Da dopo il rapimento del missionario italiano è stato evidente che i terroristi miravano alla capitale», spiegavano. Le speranze di liberazione erano cresciute lo scorso aprile, quando al quotidiano Avvenire era giunto un video lungo 24 secondi di lui in compagnia di Chiacchio. Entrambi apparivano fortemente dimagriti, con una lunga barba e abiti tradizionali locali.