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 2020  ottobre 09 Venerdì calendario

Il russo che s’è dato fuoco dopo aver fatto gli auguri a Putin. È il secondo caso in una settimana

Questa volta una motivazione politica non ci sarebbe, ma quello di Boris è il secondo caso di un russo che si dà fuoco in una settimana. E che in qualche modo incolpa dell’accaduto lo Stato o direttamente il presidente Vladimir Putin. Probabilmente si tratta solo della punta di quell’iceberg costituito da tutti i cittadini che non ne possono più dei soprusi delle autorità, delle angherie di chiunque abbia un qualche potere in mano, dal semplice poliziotto che effettua una perquisizione al funzionario del Comune che dovrebbe passare una pratica. E delle prepotenze dei ricchi e «forti» che grazie alle loro protezioni (magari pagate con laute bustarelle) fanno quello che vogliono.Boris era un imprenditore di settant’anni e già sette mesi fa aveva tentato il suicidio nello stesso modo, una bottiglia piena di liquido incendiario versata addosso e poi un fiammifero. Era stato portato al pronto soccorso e poi trasferito in un ospedale psichiatrico con una diagnosi di «instabilità». Questa volta ci ha riprovato ed è finito nuovamente in una struttura sanitaria, ma al collo, in mezzo a una strada affollata di San Pietroburgo, si è messo un cartello con su scritto «Signor presidente, buon compleanno». Due giorni fa Putin ha compiuto 68 anni.
Si potrebbe pensare a un semplice caso di malattia mentale, ma probabilmente non è così. L’uomo aveva un contenzioso aperto con le autorità per la sua attività. Forse si era scontrato con i soliti burocrati sordi o, chissà, con qualcuno che aveva promesso di far andare avanti una certa pratica solamente a seguito di un congruo «regalo». Boris potrebbe aver deciso di dire basta alle angherie. E per lui il responsabile di questo andazzo non poteva essere altri che Vladimir Vladimirovich, l’uomo che da 20 anni è in cima alla piramide.
Il caso di Irina Slavina, morta suicida il due ottobre, appare più direttamente collegato al comportamento delle autorità, se non alla repressione politica degli oppositori. La giornalista, che dirigeva un periodico online di Nizhnij Novgorod, ha mandato un messaggio inequivocabile prima di uccidersi col fuoco. Ha scritto: «Della mia morte incolpate la Federazione Russa». Irina era coinvolta in un processo sulle attività di una fondazione politica della quale lei non faceva parte e che fa capo all’ex oligarca e nemico di Putin Mikhail Khodorkovskij. Dopo la morte della donna, le autorità hanno affermato con forza che lei era solo una testimone nel procedimento, facendo capire che non aveva quindi alcun motivo di essere angustiata. Ma si è anche saputo che la sua casa era stata perquisita e che tutte le apparecchiature elettroniche della famiglia erano state sequestrate. E questo non è certo il modo in cui normalmente vengono trattati i semplici testimoni. E i suoi colleghi non hanno dubbi: da tempo Irina era sottoposta a pressioni e vessazioni di ogni tipo.