La Stampa, 8 ottobre 2020
Davigo deve lasciare il Csm
Piercamillo Davigo deve lasciare il Consiglio superiore della magistratura, a metà del mandato, perché un pensionato non può rappresentare gli ex colleghi. Lo sostiene l’Avvocatura dello Stato, in un parere richiesto dal Csm.
Davigo andrà in pensione il 20 ottobre, a 70 anni. All’inizio di settembre egli stesso ha posto con una lettera alla commissione titoli del Csm la questione, che non conosce precedenti: la possibilità di rimanere in carica da pensionato, essendo stato eletto nella quota riservata ai magistrati in servizio. Davigo sostiene di averne diritto con due argomentazioni, una giuridica e una politica. La prima: il pensionamento non è espressamente previsto dalla legge tra le cause di decadenza dei membri del Csm, e in materia elettorale vige la tassatività dei requisiti di chi accede alle cariche pubbliche. La seconda: un’estromissione con voto a maggioranza del plenum introdurrebbe un pericoloso precedente, comportando la precarietà (se non la condizionabilità) di una posizione costituzionalmente rilevante.
La commissione titoli, che deve istruire la pratica e riferire al plenum per il voto finale, ha preso tempo. Dopo aver scartabellato invano vecchi pareri, ha deciso di rivolgersi all’Avvocatura dello Stato, che assiste e difende le amministrazioni pubbliche (e il Csm, nei ricorsi dei magistrati al Tar contro nomine e trasferimenti). L’iniziativa ha suscitato la prima tensione. A volerla Loredana Micciché e Paola Braggion (entrambe di Magistratura Indipendente, corrente da cui Davigo uscì nel 2015 in polemica con Cosimo Ferri), mentre Alberto Benedetti, membro laico indicato dal M5S, ha votato contro.
Schermaglie che preludono a quel che accadrà la prossima settimana, quando i tre componenti della commissione titoli dovranno redigere una relazione (o due, in caso di spaccatura) su cui il plenum si pronuncerà. A quel punto il parere dell’Avvocatura, pur non vincolante, sarà squadernato. Tre pagine per sostenere che l’assenza di una specifica norma per il caso Davigo dipende dal fatto che la sua decadenza è «scontata», sulla scorta di una lettura sistematica del ruolo del Csm nell’assetto costituzionale e della rigida ripartizione dei suoi membri tra togati (in servizio) e laici eletti dal Parlamento, che sarebbe alterata dal «seggio del pensionato». In tal senso valorizza una sentenza del Consiglio di Stato del 2011. Una «lettura formalistica e insufficiente» delle cause di decadenza, rifiutando il principio secondo cui «l’appartenenza all’ordine giudiziario costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile» per la permanenza nel Csm e non solo «per il mero accesso», pervertirebbe il senso «dell’autogoverno».
Il plenum se ne occuperà mercoledì. Sarà battaglia. Anche perché nel frattempo Davigo presenta un altro conto al Csm per una mancata nomina in Cassazione nel 2018. Il Consiglio di Stato gli ha dato ragione, chiede un risarcimento sia economico che di carriera.