Linkiesta, 7 ottobre 2020
Claudia Conway, l’adolescente più ascoltata d’America
Tra le moltissime cose per cui ringraziare d’esser stati giovani nel Novecento, c’è l’aver avuto quindici anni quando dei quindicenni non importava neanche ai quindicenni.
Quando gli adulti non erano smaniosi di semplificare la loro conversazione fino a renderla gradita ai figli, quando i genitori guardavano con disprezzo Pac-Man (invece di crearsi smaniosamente account su TikTok), quando i giornali parlavano dei liceali solo quando c’era la Pantera, e anche allora nessun lettore (neppure quelli coetanei dei ragazzi della Pantera) si sentiva in dovere d’interessarsene.
Due giorni fa il Corriere ha pubblicato un video fatto dagli studenti del Parini (liceo medio riflessivo milanese) in cui gli adolescenti di oggi spiegano ai loro stessi di otto mesi fa cosa succederà col virus. Ovviamente non è interessante (per rendere interessante il centomillesimo racconto sulla chiusura in casa ci vuole Zadie Smith), ovviamente è pieno di banalità (se non puoi permetterti d’essere scontato quando hai l’età giusta per non sapere niente, quando?).
Un mio contatto medio riflessivo cinquantenne, su Facebook, l’ha linkato col commento «I nostri ragazzi hanno tante cose da dire e dovremmo ascoltarli di più, sempre. E magari impareremmo tutti qualcosa».
È un meccanismo del presente molto interessante, e mi piacerebbe che uno studioso di letteratura mi spiegasse se succedeva anche in passato, o se dipende dal sovraccarico di mezzi di comunicazione: più un tema è pervasivo, più il commento con cui lo presentiamo è «non se ne parla abbastanza».
Non si racconta abbastanza la maternità.
Non si ascoltano abbastanza i figli.
Non si fanno abbastanza riunioni su Zoom.
Non si parla abbastanza di cosa fare col campionato di calcio.
Non ci sono abbastanza posti, a Milano, in cui mangiare il poké.
I romani non fotografano abbastanza tramonti.
Eccetera.
Credo sia lo stesso principio per cui i partiti di governo si atteggiano, almeno dai tempi di Berlusconi, a minoranze discriminate.
Direi che si tratta di quel meccanismo che in una città di cui non si parla abbastanza chiamano “chiagne e fotte”, ma non sono sicura che sia sempre una posa studiata: la mia conoscente media riflessiva sono certa creda davvero che non ascoltiamo abbastanza gli adolescenti.
A volte non ci fingiamo nicchia per strategia: siamo proprio così immedesimati, con metodo Strasberg, nell’essere il nostro argomento preferito il Calimero dei temi, che non vediamo più la realtà.
L’adolescente più ascoltata d’America si chiama Claudia Conway, ha quindici anni, un milione e duecentomila follower su TikTok, e l’aspetto d’una trentenne troppo truccata. Una Sue Ellen Ewing giovane (Sue Ellen era, ve lo dico casomai negli anni Ottanta foste stati impegnati a leggere la Fallaci, la moglie di J.R. in Dallas; sì, l’alcolizzata, ma ora non cavilliamo).
Claudia è figlia di Kellyanne, consigliera di Donald Trump, e di George, che ha rinnegato il presidente e ha formato un comitato di repubblicani che non ne vuole la rielezione (il Lincoln Project).
Quando Claudia ha iniziato a fare video sputtanando Trump e la propria madre, la stampa di sinistra americana ha avuto una reazione che si potrebbe definire di stampo veronicalariano.
Chi ricorda l’entusiasmo dei giornali di sinistra italiani allorché la seconda moglie di Silvio Berlusconi sembrò colei che sabotava il sistema dall’interno – una versione positiva della serpe in seno o di Giuda Iscariota – sa di cosa parlo. Niente, neanche un leader di sinistra, entusiasma la sinistra quanto l’idea che il parente d’un leader di destra lo tradisca.
Pochi sono, su TikTok, i video che Kelly non ha costretto Claudia a cancellare. In uno, c’è la povera Kelly che compare in un angolino dell’inquadratura sbottando «Ma mi stai registrando di nuovo?!», madre non autorevole come tutte le mie coetanee. Ora, mentre scrivo, c’è ancora. Chissà se sarà lì quando leggerete.
Claudia, sento di poterlo dire senza averla intervistata per verificare, non sa chi sia Veronica Lario. Non conosce l’ovvietà del meccanismo, e quindi strabilia, in pochi secondi d’un TikTok da due milioni e novecentomila visualizzazioni: «Perché i media sono così ossessionati da quel che ha da dire una quindicenne? Chiedimi di uscire, Cnn. Chiedimi di uscire, Fox» (ha ragione lei: così, più che corteggiamento, è stalking).
Il video con la mascherina in cui ci invita a proteggerci e a «non dar retta a quel pezzo di merda del Presidente» ha meno della metà delle visualizzazioni (un milione e novecentomila), quello in cui dice «That’s suspicious», mentre la scritta in sovrimpressione svela che, mentre le televisioni comunicavano che il Presidente aveva il virus, mamma Kelly tossiva in giro per casa è il più visto (più di cinque milioni); assai più del video coccodrillo per Ruth Bader Ginsburg, che Claudia, vero cliché di giovane democratica, definisce «il mio eroe»; o di quello in cui ci ricorda d’iscriverci alle liste elettorali per poter votare.
Un reality in casa Conway sarebbe assai più interessante di quello in casa Kardashian: non volete sapere anche voi se Claudia, evidentemente cocca di papà, sia controbilanciata da qualche sorella che invece pratica il culto di Trump assieme alla mamma?
Se proprio non possiamo lasciarla in pace, la quindicenne che fa scemenze da quindicenne, se proprio dobbiamo considerare una notizia i video buffi in cui a dire la sua sulla Casa Bianca è una ragazzina che non è grande abbastanza da votare, o da guidare la macchina, o da bere alcolici, allora cerchiamo di sfruttare al meglio il nostro essere adulti.
Inventiamo una app che ci permetta di vedere i post cancellati dai social. Non è giusto che, se non ci affrettiamo, Kellyanne glieli faccia levare, e a noi venga negato l’intrattenimento dei panni di famiglia lavati in pubblico da una teenager con le ciglia finte.