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 2020  ottobre 07 Mercoledì calendario

In Borsa è l’ora delle Sette sorelle verdi

Dalle sette sorelle del petrolio, alle sette sorelle dell’energia pulita. I campioni dell’Oil & Gas sono entrati in crisi nell’era della decarbonizzazione e al loro posto stanno emergendo nuove Major verdi, che si candidano a diventare protagoniste sui mercati energetici del futuro grazie alla posizione di forza che hanno acquisito nel settore delle rinnovabili. Tra queste ci sono nomi storici e familiari al pubblico italiano, come la nostra Enel e la spagnola Iberdrola. Altre sono realtà (o marchi) recenti e forse meno conosciute nel nostro Paese, ma di grande peso, come l’americana NextEra o la danese Orsted. Benché la maggior parte non abbia ancora divorziato dai combustibili fossili, tutte sono già diventate dei colossi nell’eolico, nel solare o in entrambi e promettono di crescere ancora. Inoltre spesso sono attive anche nello storage di elettricità o stanno sperimentando le nuove frontiere dell’idrogeno. Business ecosostenibili, meno redditizi di quanto si sia dimostrato in passato quello degli idrocarburi, ma anche meno esposti ai cicli economici e avvantaggiati da un sostegno politico senza precedenti e da una pioggia di finanziamenti, sia pubblici che privati.
Sono tempi duri per le supermajor del petrolio, eredi di quelle che Enrico Mattei, fondatore della moderna Eni nel dopoguerra, aveva chiamato «sette sorelle». ExxonMobil, Chevron, Royal Dutch Shell, Bp e le altre grandi compagnie integrate che col tempo hanno affiancato il gruppo originario – compresa la stessa Eni e la francese Total – non riescono più a macinare profitti come un tempo e in Borsa sono tra i titoli più bistrattati. Gli investimenti verdi invece piacciono sempre di più, soprattutto in Europa, dove i criteri Esg (ambientali, sociali e di governance) ormai orientano – sia pure in modo ancora un po’ ambiguo – le scelte di una grande platea di fondi e risparmiatori. La tendenza sta comunque diventando planetaria. Se la Ue guida la lotta contro il cambiamento climatico (ed è pronta a distribuire miliardi alle energie verdi con il Recovery Fund), persino la Cina ora si è impegnata ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2060. Negli Usa è invece soprattutto il vantaggio di Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca a incoraggiare gli investitori a scommettere sugli astri nascenti dell’energia pulita e contro gli alfieri dei combustibili fossili: dalle società carbonifere agli operatori dello shale, fino ai colossi storici dell’Oil&Gas.
Il caso più eclatante riguarda Exxon, che la settimana scorsa a Wall Street è stata superata per capitalizzazione anche da NextEra, utiliy della Florida che tuttora deriva il 70% dei profitti da attività regolate, ma che vanta anche il maggior portafoglio di impianti solari ed eolici del Nord America: 20 Gigawatt di potenza installata e progetti di crescita ambiziosi, che includono una possibile fusione con Duke Energy.
Per la compagnia texana, che da inizio anno ha dimezzato il suo valore a circa 140 miliardi di $ (dagli oltre 500 miliardi del 2007), è l’ennesimo smacco: ad agosto era stata espulsa dall’indice Dow Jones Industrial Average, mentre nel 2019 era uscita dal Top 10 del listino Usa, surclassata da Apple e dagli altri colossi hi-tech, che ormai rappresentano quasi un terzo dell’S&P500, mentre il peso dell’Oil & Gas è sceso sotto il 3%.
Il sorpasso da parte di NextEra è ancora più significativo, perché evidenzia non solo le difficoltà di Big Oil, ma anche la possibile affermazione di un modello energetico “zero carbon” basato sull’elettrificazione. «Vedremo emergere una nuova categoria di compagnie, le Major del sole e del vento», ripete da qualche tempo Sam Arie, analista di Ubs, citando NextEra, Enel e Orsted tra i favoriti. Anche attraverso il consolidamento (che potrebbe coinvolgere qualche società petrolifera in transizione) secondo Arie «si arriverà rapidamente ad avere alcuni grandi player del solare e dell’eolico con 30-40 GW di capacità e in prospettiva forse anche 50 o 100 GW». Sulla stessa linea Goldman Sachs, che individua sei campioni europei in grado di approfittare del Green Deal per crescere a un tasso «significativamente superiore» ai concorrenti e diventare «supermajor delle rinnovabili». Anche in questo gruppo spicca la presenza di Enel, che qualche anno fa ha reincorporato Enel Green Power e conquistato di recente il traguardo di 46 GW di rinnovabili nel mondo. Goldman indica inoltre Iberdrola (circa 30 GW), la tedesca Rwe, la portoghese Edp, la scozzese Sse e, di nuovo, Orsted: un’ex società petrolifera quest’ultima (la danese Dong), che in soli dieci anni è riuscita a lasciarsi alle spalle i combustibili fossili per diventare il maggior operatore specializzato di energia eolica offshore, con 10 GW che punta a raddoppiare entro 5 anni e una capitalizzazione di Borsa di oltre 62 miliardi di dollari, ormai superiore a quella di Bp, che oggi vale circa 58 miliardi, un terzo rispetto ad appena due anni fa.
La compagnia britannica a differenza di Exxon ha piani ambiziosi per una riconversione verde (che prevedono tra l’altro di decuplicare la produzione di rinnovabili a 20 GW entro il 2025), ma nei giorni scorsi è comunque crollata ai minimi da venticinque anni in Borsa. La stessa sorte è toccata a Shell, altra Major impegnata nella decarbonizzazione. Quest’ultima vale tuttora quasi 100 miliardi di dollari, ma sono dimensioni ormai non lontane da quelle di Enel (90 miliardi circa) o Iberdrola (80 miliardi). La competizione è aperta.