La Gazzetta dello Sport, 6 ottobre 2020
L’ora di Mick Schumacher
Adesso si tratta solo di non trasformarlo nella proiezione dei sogni degli eterni non invecchiati. In tutto il mondo plotoni di quaranta-cinquanta e sessantenni non aspettano altro che di vederlo in pista, magari vestito di rosso, per sentirsi all’improvviso più giovani di vent’anni. Tutti già fatalmente e naturalmente suoi tifosi, per riflesso condizionato, nostalgia, gratitudine. Mick Schumacher lo sa, ma sembra bravissimo a far finta di niente. È da sempre che ci è abituato. Un anno e mezzo fa, quando ai test in Bahrain ha girato per la prima volta su una macchina di Formula 1, ovviamente una Ferrari, disse: «Capisco si parli di me. Tutto questo è sempre stato nella mia vita. Sono cresciuto così, sono abituato». Ora è da definire se saranno gli altri ad abituarsi a lui, se saremo tutti noi appassionati di Formula 1 a considerarlo per quel che è: predestinato finché si vuole, ma pur sempre un giovane in procinto di entrare con una scuderia minore in Formula Mercedes. Perché il rischio di restare intrappolati nella suggestione c’è. Quel giorno in Bahrain, per dire, quando è uscito dal corridoio dei box, con la tutta rossa, per un attimo il suo sorriso identico a quello di papà ha fatto vacillare i meccanici, ferraristi e non, gli uomini della Fia, persino i giornalisti e i fotografi più abituati a fare i cinici disincantati. È da capire quindi quanto in fretta saremo capaci di uscire dal riflesso condizionato, perché ormai ci siamo. Il prossimo passo sarà venerdì al Nürburgring. Un anno e mezzo fa erano test giovani, adesso si tratta di una sessione di prove libere su Alfa Romeo al GP di Germania, dunque in casa, sul circuito dove papà ha vinto 5 volte (e una anche zio Ralf). Dopodiché non resterà che il debutto, ormai fissato pressoché con certezza per l’anno prossimo, probabilmente con la Haas.
Non farsi schiacciare
Qui non stiamo parlando di un figlio d’arte come ce ne sono centinaia nella storia del motorsport. Qui si parla del figlio del mito, dunque in qualche modo della sua prosecuzione. Su tutta la Terra ci sono forse solo Axel Merckx e Jordi Cruijff a cui Mick potrebbe chiedere qualche consiglio su come gestire l’enormità della cosa. Senza però seguirne l’esempio. In ogni caso lui sembra non fare niente per smarcarsi. Certo nell’automobilismo l’iconografia è difficile da cambiare: Ferrari o Alfa i colori sono quelli, e non è di sicuro il caso di rinunciare a tutti i soldi che porta il cappellino firmato Deutsche Vermogensberatung indossato per una vita da papà. Per cui la somiglianza, oltre che fisica, è anche nella mise. In ogni caso fin qui Mick non si è mai sognato di dire quelle frasi tipiche dei figli d’arte che cercano in ogni modo di affrancarsi e di sottolineare la propria autonomia e unicità nei confronti dello scomodo genitore. Anzi quando ne ha parlato ha fatto il contrario: «Sono figlio di mio padre e sono felice di esserlo. Per quel che ha saputo fare, perché è il migliore della storia della F.1. Non posso che essere orgoglioso di un padre così». Quasi come se avesse ribaltato la prospettiva e invece di sentirsi schiacciato da un ricordo che stritolerebbe chiunque avesse deciso di vivere nella sua venerazione. Consapevole di non avere molto da perdere nel confronto con un monumento.
Quello sguardo a papà
Anche perché attorno ha chi lo protegge più che bene. Mamma Corinna, prima di tutti, col cui cognome, Betsch, Mick ha corso quasi sotto copertura fino al penultimo anno di kart. E poi Sabine Kehm, storica portavoce di papà, per anni una specie di vice-madre in pista. E poi Nicolas Todt, a sua volta figlio d’arte, nonché suo agente. E ancora la Prema, la squadra italiana di Angelo e René Rosin con cui gareggia da 5 stagioni. Dall’anno scorso anche la Ferrari stessa, con la struttura dell’Academy. Insomma il ragazzo cresce, tra le proiezioni di sogni altrui. Basta vedere la foto postata sul sito della F.1 qualche giorno fa, a riprova dell’aspettativa e della suggestione: una tenera immagine di papà Michael al fianco del figlio piccolissimo che, con un casco più grosso di lui, si accinge a salire su un kart. Chissà che su e giù di sensazioni e sentimenti, per Mick: il suo sogno fin da quei tempi là adesso si sta avverando. Ma papà non c’è. E solo lui e pochi altri sanno se e come potrà esserne felice e orgoglioso. Al quotidiano svizzero Blick, Schumino ha raccontato di un episodio che non dev’essere stato di tanto successivo a quella foto. Lui e il padre erano in pista a Kerpen, col kart: «Papà mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto: lo vuoi davvero?». Mick dice di aver risposto solo con un cenno. Che ha segnato la sua vita. «Da allora ho subordinato tutto alla F.1».
Mick il riflessivo
Tra tante speranze, e anche un po’ di adulazione. Critiche poche, solo qualcuna: a Sochi Karl Wendlinger, ex di F.1 e compagno di equipaggio di papà Michael nella sua unica 24 Ore di Le Mans (furono quinti nel 1991), ha detto che Mick non è come papà. Qualche sito ci ha forzatamente voluto tirar fuori una stroncatura, ma Wendlinger voleva solo dire che sono due piloti dalle caratteristiche diverse. «Suo padre era veloce dall’inizio, lui impara e poi migliora». Vero. Michael ovunque lo mettessero vinceva subito: in F.1, nella sua prima annata piena, nel 1992, fece 8 podi e vinse a Spa, chiudendo terzo nel Mondiale. Mick si direbbe vada più cauto. Arriva, si fa un anno di apprendistato, e poi attacca. Ha fatto così nei kart, dove all’ultimo anno, passato dallo pseudonimo Mick Betsch a Mick Junior, fu secondo nel campionato tedesco, all’Europeo e al Mondiale. Lo ha rifatto in Formula 4, con un 2015 interlocutorio e poi coi secondi posti del 2016 sia in Italia sia in Germania. Con tanto di vittoria al Nürburgring, giusto per restare in tema delle suggestioni che ci aspettano venerdì. Stessa cosa in F.3: 12° nel campionato 2017 e poi, a metà della stagione successiva, l’esplosione. Dall’agosto 2018 Mick ha vinto anche lui la prima a Spa, ha fatto tripletta (3 vittorie!) al Nürburgring e con 8 successi è andato a prendersi il titolo. Adesso in F.2 siamo da capo, dopo il 12° posto – guarda caso – del 2019, quest’anno con 2 vittorie e 10 podi è davanti a tutti. In una lunga e trionfale rincorsa che milioni di tifosi sperano sia il trailer di un futuro ormai prossimo.