La Stampa, 6 ottobre 2020
Nel Nord-Ovest metà degli abitanti a rischio calamità
Ogni volta che c’è un’alluvione, Fabio Luino, ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, sale in auto e va a vedere. Nel 1994, nel 2016, l’altro ieri. «È importante farlo subito», prima che i mezzi di soccorso cancellino i segni dell’evento. Come sulla scena di un delitto. Il punto in cui il fiume ha rotto gli argini, quali case ha allagato, il ponticello che, ostruendosi, ha scatenato la furia idraulica. «Cose incredibili», racconta di ritorno dall’ultimo sopralluogo a Limone Piemonte. Dove ancora si spala, si scava e si contano i danni in quello che Nicola Dalmasso, presidente della Pro Loco, definisce «un paesaggio lunare».
Luino prende appunti, fotografa, scrive. E alimenta un archivio che dal 1970 conta più di 120mila documenti. La storia delle frane e delle alluvioni del Nord. Il più ricco archivio del genere in Italia. Prezioso ma scomodo, perché spiegherebbe molte cose ed eviterebbe altrettanti disastri, che si ripetono negli stessi luoghi per le stesse cause. L’ultima alluvione, per esempio. A parte Limone Piemonte, che ha pagato in un colpo solo decenni di incuria urbanistica, in val Tanaro il film era un remake.
Università, istituti di ricerca, associazioni ambientaliste e organizzazioni tecniche e professionali lavorano da anni sul dissesto idrogeologico. Ormai mappe e monitoraggi non mancano. Alcuni pubblicati periodicamente, i più moderni aggiornati in tempo reale in cartine interattive di facile consultazione, che sembrano un videogioco. Come quella di Legambiente (cittaclima.it), con un logo diverso per ogni disastro. In dieci anni ha censito 95 eventi estremi in Piemonte, Liguria e Val d’Aosta su 894 in Italia. La nozione di «evento estremo» si è diffusa negli ultimi anni, con la crescente sensibilità per i cambiamenti climatici e l’intensificazione di fenomeni come le piogge di venerdì in Piemonte: oltre 60 centimetri in 12 ore, metà di quelle di un anno. Il 5,2% del territorio piemontese, il 58,1% di quello ligure e il 95% di quello valdostano sono a rischio frana. In queste tre regioni, complessivamente, le aree considerate «a rischio frana elevato o molto elevato» dall’ultimo monitoraggio Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) superano i 4650 chilometri quadrati. Quasi il quadruplo della superficie del Comune di Roma. Quanto alle alluvioni, il rischio «medio o elevato» riguarda il 12,6% del territorio piemontese, il 5% di quello ligure e il 12% di quello valdostano.
L’Ispra produce anche una mappa di «rischio combinato» frana-alluvioni: i comuni da monitorare sono 1.133 su 1201 in Piemonte (il 94%). Nelle province di Asti, Cuneo e Alessandria i Comuni si va oltre il 99%. In Liguria i comuni sono 235 e 74 in Valle d’Aosta. Tutti. Non c’è città, in queste due regioni, che possa considerarsi fuori pericolo. Oltre 124mila cittadini piemontesi, 863mila liguri e 61mila valdostani vivono in zone a rischio frana; 970mila piemontesi, 815mila liguri e quasi 70mila valdostani in zone soggette a inondazioni. Complessivamente quasi 3 milioni di persone su 6 milioni nel Nord Ovest non vivono in condizione di sicurezza idrogeologica.
Ogni tanto va bene: una strada chiusa in tempo, un quartiere evacuato, una casa disabitata. Talvolta no. In cinquant’anni, nelle tre regioni, la banca dati Irpi-Cnr conta 308 morti, 23 dispersi e 264 feriti per frane e alluvioni. In Piemonte 174 morti, in Liguria 102, in Valle d’Aosta 32.
Il ripetersi di eventi analoghi negli stessi luoghi (una specialità piemontese e ligure, basti pensare alla canzone di De Andrè sul Bisagno) conferma le osservazioni di Luino. «Le mappe non producono scale di priorità negli interventi», spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. Le autorità di bacino definiscono i piani di assetto idrogeologico ma fanno solo pianificazione. Nel rapporto con le istituzioni elettive contano poco. Il risultato è che si spende 1 euro per la prevenzione ogni 4 necessari a riparare i danni causati dagli eventi estremi.
E così a Ceva, una delle città simbolo della val Tanaro, anche stavolta è finito sott’acqua l’asilo sulla sponda destra del fiume. Come nel 1994 e nel 2016.