Corriere della Sera, 6 ottobre 2020
Maradona, un mito che rivive nei ricordi dei tifosi
Se qualcuno volesse capire qualcosa di più sul Napoli (ultima giornata compresa) potrebbe guardare Un figlio di Napoli. «Uomo della speranza», «Per molti era l’unica ricchezza», «Ha portato soldi, gioia e allegria»: sono solo alcuni dei pensieri che compongono Maradonapoli, docu-film del regista romano Alessio Maria Federici. Realizzato nel 2017 in occasione del trentesimo anniversario del primo scudetto del Napoli (ora su Netflix).
Maradonapoli non è il classico documentario che ripercorre la vita, le gesta e le cadute di un atleta (sul campione argentino ce ne sono diversi, sulle varie piattaforme streaming), bensì un’immersione nei ricordi e nei rimpianti di una città che dalla seconda metà degli anni Ottanta si trovò a competere e vincere nel calcio italiano ed europeo. Non s’intravedono immagini di gol e giocate (solo testimonianze del «Pibe de oro» in vecchie interviste); l’epopea di Maradona a Napoli è raccontata dalle voci dei tifosi, dei cittadini giovani e meno giovani che lo hanno potuto vedere o che ne hanno sentito parlare dai racconti di nonni e genitori.
Un’ora e quindici minuti di battute e di memorie; una monotematicità narrativa che una discreta fotografia e una macchina da presa che si spinge negli angoli più vivi e nascosti della città riescono a spezzare. Tutto ha inizio quel fatidico 30 giugno 1984, quando con un furbo stratagemma l’allora presidente Corrado Ferlaino conclude l’acquisto di Maradona dal Barcellona; un «giorno epocale» in cui tutti i napoletani ricordano dove fossero e cosa stessero facendo, come si conviene ai grandi eventi che vanno a costruire la memoria collettiva di una comunità. Maradona è un’icona laica che ancora si vende sottoforma di memorabilia. «Il mito – sintetizza un intervistato – è qualcosa che sta dentro il sangue del Sud; abbiamo bisogno del mito che ci riscatti». Oggi il mito si chiama Aurelio De Laurentis.