Affari&Finanza, 5 ottobre 2020
Tutti alla ricerca dell’inflazione perduta
Cercasi inflazione disperatamente. Il rincaro dei prezzi al consumo è l’obiettivo principale delle banche centrali di mezzo mondo ma, per il momento, rimane un traguardo enigmatico, elusorio e sfuggente – una specie di mostro di Loch Ness dell’economia. Per Christine Lagarde in Europa, Jerome Powell in America e Haruhiko Kuroda in Giappone riaccendere l’inflazione è uno degli ingredienti-chiave per rilanciare economie paralizzate dal virus. È un’inversione di marcia clamorosa per autorità monetarie che per quasi mezzo secolo hanno considerato l’inflazione una parolaccia e promesso di alzare i tassi ai primi segni di un rincaro dei prezzi. Ma il triplice shock del Covid-19 – sanitario, economico e psicologico – ha costretto i guardiani del denaro a sconfessare l’ortodossia anti-inflazionistica degli ultimi 40 anni. “Un’inflazione che è costantemente troppo bassa può comportare seri rischi per l’economia” ha detto Powell, il capo della Federal Reserve, un mese fa proprio quando la Fed annunciò che, d’ora in poi, “tollererà” un tasso d’inflazione al di sopra del 2%. Sono passati anni luce da quando Paul Volcker – che quando faceva il mestiere di Powell negli anni 80 sconfisse un’inflazione rampante – disse che il caro-prezzi “è la tassa più crudele perché colpisce molti settori quando meno se l’aspettanno e colpisce i poveri più dei ricchi”. È giusto che le banche centrali si adattino alle condizioni economiche del momento anche se ciò comporta cambiamenti radicali nelle politiche monetarie. Il problema per la Fed, la Bce e la Banca del Giappone è che dell’inflazione non c’è traccia.
Costi e domanda
Anzi. La zona-euro è caduta nella deflazione ad agosto per la prima volta in quattro anni e Lagarde ha spiegato al Parlamento europeo un paio di settimane fa che i prezzi continueranno a calare per i prossimi mesi. Negli Usa, il tasso è all’1,3%, mentre in Giappone non tocca nemmeno lo 0,5%. Riusciranno i nostri eroi a riscoprire l’inflazione? Non sarà facile. Ci sono due tradizionali “fonti” d’inflazione: i costi e la domanda. Sul fronte dei costi – di beni e servizi – l’arrivo della pandemia ha esarcebato trend strutturali – dalla globalizzazione al commercio online al ristagno nei salari – che spingono da anni verso la deflazione. In questo senso, l’Europa in generale, e la Germania in particolare, stanno peggio degli altri. Dati compilati da Longview Economics dimostrano che il numero di “componenti” dell’indice inflazionario della zona-euro che sono in calo è al livello più alto dalla nascita dell’euro. Già, l’euro. L’apprezzamento della moneta unica negli ultimi mesi, soprattutto a spese del dollaro, non aiuta assolutamente l’inflazione perché riduce il costo delle importazioni. Se il costo di merci e servizi non alimenterà l’inflazione, l’unica via d’uscita è un’esplosione nella domanda per far aumentare i prezzi. Qui la speranza sono le Zecche di Stato. Stampare denaro e metterlo nelle tasche dei consumatori è uno dei metodi classici per “creare” inflazione e, negli ultimi anni, le banche centrali non hanno fatto altro che stampare denaro.
L’aiuto dei governi
Nell’era-Covid le rotative sono state aiutate dai governi che, a differenza della crisi finanziaria del 2008, sono scesi in campo con stimoli fiscali significativi e hanno incoraggiato le banche a prestare soldi a cittadini, investitori e imprese. Il percorso del nuovo denaro dalle Zecche ai portafogli dei consumatori è complesso e il meccanismo di trasmissione si inceppa spesso. L’intoppo più comune è che la gente i soldi li risparmia e non li spende. È quello che è accaduto al Giappone per decenni e quello che sta succedendo alla Germania e, per la prima volta in moltissimo tempo, agli Stati Uniti. Il governo ci può mettere del suo con il debito pubblico – cosa che gli Stati Uniti fanno più frequentemente di Europa e Giappone – ma non è detto che, di fronte a un futuro incerto, spaventoso e torbido, i consumatori si mettano tutti a comprare nuove case, televisori o vestiti. Michael Pento, il gestore di fondi che più odia le politiche di stimolo della Fed, lo ha spiegato bene in una recente lettera agli investitori. “Per far salire l’inflazione, la Fed ha bisogno della cooperazione diabolica del Tesoro con la garanzia di un reddito basico universale (per convincere i consumatori a spendere). Per fortuna, ciò non succederà”. E attenzione agli effetti collaterali. Mentre Powell, Lagarde e Kuroda si fanno in quattro per alimentare l’inflazione, stanno gonfiando due bolle finanziarie: quella del debito delle aziende e quella dei mercati finanziari. La prima ha l’effetto deleterio di tenere in vita società che dovrebbero fallire, un fenomeno che non aiuta né l’economia né l’inflazione. La seconda crea squilibri economici perché premia gli investitori (che di solito sono più ricchi, con migliore educazione, eccetera) a spese di consumatori e risparmiatori. Un altro risultato che non stimola la ripresa. La ricerca dell’inflazione perduta continua, ma il viaggio non sarà né breve né comodo.