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 2020  ottobre 05 Lunedì calendario

Il gas infiamma il Mar Mediterraneo

Sono nomi che rimandano alla mitologia. Afrodite come la dea greca dell’amore. Glauco, il figlio di Poseidone dio del Mare. Calipso, la ninfa che trattenne a lei Ulisse. Leviatano, il mostro della Bibbia. Oggi invece nominano i nuovi giacimenti di gas sul fondo del Mediterraneo. Il mito questa volta è associato a un’altra epica battaglia che vale miliardi, viene combattuta da governi e compagnie petrolifere. E profuma di gas. Perché il quadrante che corrisponde al Mediterraneo orientale è diventato il nuovo Eldorado per la ricerca e la produzione di gas naturale. E come tale si è trasformato in un crocevia di interessi economici, lotte di potere e sovranità che influiscono sugli equilibri geopolitici della regione. “Non si possono capire tensioni, guerre, alleanze se non si tiene conto di questo dato energetico”, spiega Francis Perrin, direttore della ricerca presso l’Institut de Relations Internationales et Stratégiques (Iris) di Parigi. Dalla Libia alla Turchia, da Israele al Libano all’Egitto, la mappa delle piattaforme offshore è la chiave di comprensione indispensabile. Ad agosto, la Grecia ha deciso di schierare fregate da guerra, supportata dalla marina francese, al largo di Kastellorizo (l’isola che batte bandiera ellenica, dove Gabriele Salvatores ha ambientato il film premio Oscar “Mediterraneo"). Il motivo? La Turchia aveva inviato la nave Oruç-Reis per esplorare i fondali a caccia di gas naturale. Dietro le quinte la diplomazia europea ha lavorato – in particolare la Germania – e qualche giorno fa la Oruç-Reis ha fatto marcia indietro per lasciare spazio ai negoziati con la Grecia, al centro della discussione del Consiglio europeo nello scorso fine settimana.
Tutto ruota attorno alle acque della zona economica esclusiva (Zee). Secondo Atene, ciascuna delle sue isole ha una propria Zee, in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che ha firmato nel 1982. Ankara, che non ha aderito alla Convenzione, ritiene che la Zee di un paese debba essere misurata in proporzione alla lunghezza del suo lungomare.
La battaglia per Cipro
"Al momento il vero bottino conteso è a Cipro”, sottolinea Perrin. Già nel 2018 la marina turca aveva tentato di bloccare una nave dell’Eni al largo dell’isola divisa tra la parte del governo di Nicosia, dentro all’Ue, e la zona a nord occupata militarmente dalla Turchia. Rispetto alle ricerche al largo della Grecia, Cipro è in fase più avanzata con la piattaforma Afrodite scoperta dalla società texana Noble Energy. Total ed Eni si sono aggiudicate un altro lotto per l’esplorazione e lo sfruttamento congiunto di gas e petrolio. I due gruppi – spesso rivali in altri scenari, come in Libia – sono diventati i due maggiori protagonisti nel quadrante. “Funziona da sempre così. Il settore energetico è un misto di cooperazione e competizione. Due compagnie possono essere associate in un consorzio e poi nemiche su altre piattaforme”, precisa Perrin. Per la Turchia di Erdogan le rivendicazioni sulle zone marittime sono un modo di cavalcare il voto dei nazionalisti. Il presidente turco ha coniato il concetto di “Patria Blu”, secondo cui la sovranità turca dovrebbe essere estesa tra il Mar Nero, Egeo e Mediterraneo orientale. Una visione che ha contribuito a isolare il regime di Erdogan rispetto a Egitto e Israele, tra i protagonisti della partita. Israele è stato tra i primi paesi a lanciare le trivellazioni nel Mediterraneo alla ricerca di idrocarburi scoprendo nel 2010 il più importante giacimento di gas naturale, il Leviatano. Guidato da Noble Energy, il giacimento è produttivo dall’anno scorso e permette allo Stato ebraico di soddisfare i due terzi della produzione di energia elettrica, consentendo l’addio all’uso del carbone. Anche per l’Egitto le trivellazioni offshore hanno rappresentato un punto di svolta. Il Paese è passato nel giro di pochi anni da importatore a esportatore netto di gas naturale dopo la scoperta nel 2015 del blocco Zohr, il più grande di tutto il Mediterraneo, scoperto dai tecnici di Eni con una stima di 850 miliardi di metri cubi di riserve. Sfruttato da ormai tre anni, rappresenta oggi circa il 40% della produzione di gas dell’Egitto. Ed è diventato l’esempio di come funziona la geopolitica degli idrocarburi: la società che gestisce Zohr è al 50% di Eni, al 30% della russa Rosneft, mentre il restante 20% è diviso equamente tra British Petroleum e Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi. Le riserve di gas offrono a Israele l’opportunità di esportare la propria energia, creando nuovi collegamenti strategici. Il governo di Tel Aviv ha siglato contratti di fornitura sia con il regime egiziano di Al Sisi che con la monarchia giordana di re Abdallah. E ora il governo Netanyahu usa la diplomazia del gas anche per consolidare gli storici accordi di normalizzazione delle relazioni con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Nel gennaio dell’anno scorso, è nato il Forum del gas del Mediterraneo orientale. Una coalizione che comprende Cipro, Grecia, Israele, Egitto, Italia, Giordania e Palestina. La Francia ha fatto domanda di adesione qualche mese fa.

Il progetto Eastmed
Il Forum apre la strada allo sviluppo del gasdotto Eastmed su cui sono in corso gli studi preliminari per il cantiere. Un progetto faraonico: oltre 2 mila chilometri in acque profonde con un investimento complessivo di 5 miliardi di euro e con una capacità di trasporto compresa tra i 12 e i 16 miliardi di metri cubi all’anno. Il gasdotto collegherà Leviatano, al largo delle coste di Israele, con il campo di Afrodite al largo di Cipro. La rotta proseguirà poi in via sottomarina fino a Creta, in Grecia e infine in Italia, la porta d’accesso al continente. Al momento però il progetto del gasdotto Eastmed è bloccato dalla Turchia che ha allargato la sua influenza in Libia, sostenendo militarmente il governo di Tripoli contro le forze del maresciallo Haftar. In cambio, Erdogan ha ottenuto un accordo marittimo, firmato un anno fa, che estende le acque territoriali della Turchia, attraversando di fatto una parte della zona da cui dovrebbe passare il futuro gasdotto Eastmed. “Per la Turchia è un modo di chiedere agli altri Paesi di avere un posto al tavolo”, osserva Perrin secondo cui alla fine tutti avranno interesse a trovare un accordo. Dietro la politica, ci sono ovviamente interessi economici. La Turchia difende il suo “eldorado del gas": ha appena scoperto un suo giacimento nel Mar Nero con riserve dichiarate per 320 miliardi di metri cubi e progetta di ampliare la portata del Tap, il gasdotto che corre lungo tutta la penisola anatolica e porta il gas azero nella Ue, fino alle coste del Salento. Aumentandone la portata potrebbe a sua volta rifornire il Medioriente. Ma gli esperti si domandano se tutta questa partita a scacchi abbia un senso. Forse per i prossimi anni, ma non nel medio periodo: la Ue ha fissato al 2050 l’uscita totale dagli idrocarburi e già al 2030 vuole ridurre le emissioni del 55%. I fondi del Recovery Fund vanno verso la green economy e la transizione energetica corre molto più di quanto era ipotizzato solo pochi anni fa. E quanto a concorrenza, non c’è partita: il Qatar ha riserve per 24 mila miliardi di metri cubi. Anche per questo, c’è chi scommette sul fatto che Eastmed rimarrà un bel progetto solo sulla carta.