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 2020  ottobre 04 Domenica calendario

QQAN66 Quando si rompe il cervello. Due saggi

QQAN66

I bambini curiosi smontano i giocattoli per vedere come sono fatti dentro. Cercano di scoprire i meccanismi che producono movimenti e comportamenti visibili. Se i meccanismi sono semplici, i bambini possono fare l’operazione inversa e rimettere insieme il giocattolo, altrimenti no. Nell’aprile 2001 un aereo spia americano si scontrò con un caccia e fu costretto ad atterrare in territorio nemico. I cinesi lo smontarono con cura e restituirono i pezzi agli americani. Avevano fatto quell’operazione che informatici, architetti e scienziati cognitivi chiamano «ingegneria inversa». È appunto l’operazione inversa a quella fatta per costruire qualcosa partendo da un progetto. Se ci troviamo di fronte a qualcosa di bell’e fatto possiamo cercare di andare a ritroso per rintracciare i passi altrui.
Anni fa, alla Scuola Sant’Anna di Pisa, i professori Dosi, Marengo e Pasquali m’insegnarono a usare un programma che girava su computer frantumando un complesso organizzato in pezzi sempre più piccoli. Pubblicammo questo lavoro nel 2000 sulla rivista «Industrial and Corporate Change» individuando il limite oltre il quale andava persa la funzione dei componenti. Per esempio, se in un’azienda la decentralizzazione si è spinta troppo in là, i singoli non capiscono il senso dei loro compiti.
Non sempre è possibile definire i componenti utilizzati per giungere al risultato finale. Immaginate di voler risalire ai due numeri interi che danno come somma 4. Ci sono due possibilità per arrivare a 4: 3+1 oppure 2+2. Per escluderne una ci vogliono altre informazioni: per esempio sapere che gli addendi sono pari oppure diversi.
Quando qualcosa è stato progettato e costruito in tempi e spazi circoscrivibili, è facile rintracciare la strada che ha portato alla meta. Se invece i tempi e gli spazi sono illimitati, allora l’ingegneria inversa diventa impraticabile. Questo è il tipo di ostacolo da superare quando cerchiamo di capire come funziona il nostro cervello. Nessuno l’ha progettato, nessuno l’ha costruito. Nel corso di tempi immemorabili e sconosciuti l’evoluzione ha selezionato le variazioni casuali più adatte.
Abbiamo ereditato un cervello che appare talvolta imperfetto. Commette errori sistematici, difficilmente correggibili, ed è fragile, nel senso che può non durare abbastanza a lungo. Di qui le demenze senili, descritte e studiate da Costanza Papagno e Nadia Bolognini dell’Università di Milano Bicocca: il libro da loro curato è chiaro, aggiornato e documentato. La questione è attuale: i processi degenerativi del cervello sono sempre più un dramma con l’allungarsi della vecchiaia. Se non avverranno catastrofi, si stima che nel 2040 le persone anziane di molti paesi, tra cui l’Italia, soffriranno soprattutto di processi degenerativi del cervello.
I neuropsicologi utilizzano diversi test per valutare le prestazioni mentali: attenzione, memoria, linguaggio, funzioni percettive e motorie, capacità di azione. Le misure ottenute con un individuo possono venire messe a confronto con quelle medie di una popolazione. Quando abbiamo a che fare con le demenze, cioè con deficit cognitivi sistematici in uno o più di questi ambiti, si ripresenta il problema dell’ingegneria inversa. Non esiste alcun test che singolarmente sia in grado di distinguere le diverse demenze. Dobbiamo cercare di isolare le funzioni relativamente conservate da quelle deficitarie. Non è facile perché non c’è corrispondenza biunivoca tra danno del cervello e prestazione mentale andata persa. Ad esempio, la presenza di deficit visuo-percettivi è tipica dell’atrofia corticale posteriore ma è anche frequente in tutte le forme gravi di demenza e quindi non ha valore diagnostico differenziale.
Quando cominciarono a diffondersi i computer, le scienze cognitive equipararono il cervello all’hardware, la macchina, e i meccanismi mentali al software, gli algoritmi utilizzabili. È un’equazione illusoria se crediamo che localizzare un’operazione mentale nel cervello ci dica abbastanza sul suo funzionamento.
Come ha spiegato in un saggio avvincente Arnaldo Benini (La mente fragile), le grandi case hanno provato per anni a trovare farmaci per frenare il decadimento del cervello ma attualmente stanno rinunciando proprio per la complessità della sfida.
Ancora più misteriosi e incerti sono gli esiti dei tentativi di migliorare le prestazioni intellettuali. Alla questione è dedicata la recente sintesi, equilibrata e aggiornata, di Simone Rossi dell’Università di Siena. Rossi studia gli effetti della neuromodulazione, cioè l’applicazione non invasiva di deboli correnti elettriche a zone definite del cervello.
Abbiamo scoperto due cose: gli effetti delle correnti non sono permanenti e sono variabili da persona a persona. Consideriamo per esempio le matrici di Raven, problemi che richiedono di ricavare da una serie di lettere o numeri la regola sottostante.
La neuromodulazione migliora le prestazioni delle persone che sono già abili mentre rallenta le persone meno capaci. Un risultato misterioso che potrebbe avere moltissime spiegazioni possibili e quindi non ne ha nessuna. Si coglie qui la difficoltà di risalire dalle prestazioni alle cause. È facile quando si fa un esperimento in condizioni controllate. È arduo quando ci si limita a fare delle prove, per esempio utilizzando la neuromodulazione. Torna il problema dell’ingegneria inversa perché lo stesso effetto può essere prodotto da innumerevoli cause o concause.
Questi due libri meritano di essere letti perché il primo affronta un male terribile, non solo per chi ne è vittima. Il secondo è dedicato alle nuove forme di un sogno antico: la speranza di diventare una sorta di super-uomini. Entrambi i libri colpiscono per il divario tra quel poco che sappiamo sul cervello, inteso nella prospettiva neo-darwinista, e la fantasmagoria di quanto le menti umane producono. A questo divario allude forse lo scrittore Thomas Hardy il 26 giugno 1876 nel suo diario. «Tutte le cose confluiscono l’una nell’altra: il bene nel male, la generosità nella giustizia, la religione nella politica, gli anni nelle epoche, il mondo nell’universo. A chi ne tiene conto l’evoluzione della specie apparirà come un minuscolo e banale processo entro quel medesimo movimento».
Cercare di colmare questo divario è la sfida scientifica più urgente e difficile.