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 2020  ottobre 04 Domenica calendario

La jihadista pentita

Il rientro in Italia di Alice Brignoli, che insieme al marito Mohamed Koraichi e ai tre figli aveva raggiunto nel 2015 i ranghi dell’Isis in Siria, non è un mero fatto di cronaca. La donna, da tempo nell’immenso campo di Al Hawl, una sorta di girone infernale nel quale sono detenute decine di migliaia di jihadisti e le loro famiglie, non sembra temere l’epilogo della sua avventura: lei detenuta a San Vittore, i quattro figli – l’ultimo è nato in Siria – in una comunità per minori. L’atteggiamento della donna, che si dichiara non più radicalizzata, segnala la perdita di fascinazione nei confronti dello Stato islamico. Brignoli definisce un «grosso errore» l’essere partita per la Siria e dice che lo Stato islamico si è rivelato qualcosa di diverso dal luogo «idilliaco» che si attendeva. Sotto le insegne del Califfato nero non ha incontrato ciò che le sirene jihadiste propagandavano in Rete ma solo la cupa realtà della guerra a oltranza. La fondatezza di queste affermazioni va vagliata. È logico pensare che il desiderio di uscire dalla claustrofobica prigione a cielo aperto di Al Hawl e di garantire ai figli un futuro diverso dal prevedibile “sacrificio” per la causa, spinga l’ex-impiegata lombarda, protagonista di una tipica radicalizzazione di coppia, a ridimensionare lo spessore delle proprie scelte, se non a dissimulare. Ma per ricostruire quanto è avvenuto, e la veridicità delle sue convinzioni, ci sono i tribunali. Sono molti gli occidentali dell’Isis che chiedono di tornare nei Paesi d’origine o in cui erano residenti, pur sapendo che dovranno affrontare il carcere. Quelli che predicavano la distruzione, e negavano la legittimità, di ogni altra realtà diversa dallo Stato islamico, domandano ora alle “entità dell’empietà” di riaccoglierli, accettando di farsi giudicare dai loro tribunali. È una cesura profonda per chi aveva praticato l’ hijra, la separazione dalla “impurità religiosa”, per unirsi alla creatura di Al Baghdadi. Con la dovuta prudenza, contesto storico e ideologie sono assai diverse, ciò che avviene si può paragonare al fenomeno che ha investito, nei primi anni ’80, il terrorismo italiano di matrice brigatista e affine. Molti militanti di quei gruppi, che sino a qualche anno prima rifiutavano il giudizio dei tribunali della Repubblica perché non ne riconoscevano la legittimità, pur non “pentendosi” si sono dissociati dalla “lotta armata”, hanno scontato la pena senza più incitare alla rivolta nelle carceri, immaginato un futuro oltre le sbarre. Gli Stati europei affrontano in maniera diversa questi sviluppi. Francia e Gran Bretagna si oppongono al ritorno dei foreign fighter e hanno esternalizzato la soluzione del problema appaltandola ai curdi: in cambio di più o meno silenti concessioni. La preoccupazione francese e britannica è legata ai numeri, assai più elevati di quelli italiani, e al nodo dei minori cresciuti nei ranghi dell’Isis, ritenuti in buona parte non risocializzabili ai valori occidentali: tema spinoso, che va ponderato con attenzione. Ma uno stato di diritto processa quelli che accusa, assicurando loro la difesa. L’Italia lo ha fatto, andando a cercare i propri foreign fighter. La decisione può apparire azzardata. Va, invece, letta non solo sul versante della sicurezza ma anche su quello della battaglia delle idee. Parigi e Londra sottovalutano l’impatto provocato dal sentire dire in un pubblico dibattimento, da chi ha vissuto quella totalizzante esperienza, “c’eravamo sbagliati”. Il crollo del terrorismo in Italia non è avvenuto solo per il contrasto di polizia ma perché la crisi del suo progetto era divenuta evidente dentro e fuori le organizzazioni che lo praticavano e nella vasta area grigia che con esso simpatizzava. Ascoltare i militanti dell’Isis fare l’epitaffio senza lodi di quello in cui avevano creduto è più efficace che trasformare in apolidi per via politica i foreign fighter, sperando che non escano vivi dalla dura detenzione siriana. Le parole dei “dissociati” islamisti possono contribuire a seppellire anche l’ultima utopia.