Il Messaggero, 3 ottobre 2020
Storia del monte Rushmore
Il 4 Ottobre 1927, nello spopolato South Dakota, non lontano dal luogo in cui i Sioux di Toro Seduto avevano sterminato il 7mo Cavalleggeri del colonnello Custer, il governo locale diede inizio a una delle imprese più ardite nella storia della mega scultura: il complesso del monte Rushmore, con i volti di quattro presidenti americani.
I cinefili più anziani lo ricordano per la vertiginosa scalata di Cary Grant nel capolavoro di Hitchcock Intrigo Internazionale. Quelli più giovani, per l’esilarante scena dell’orso nel godibilissimo Mai stati uniti di Enrico e Carlo Vanzina. Il sito attrae ogni anno – Covid permettendo – quasi tre milioni di visitatori, ed è la prima fonte di entrata dello stato. Ma pochi sanno che quello straordinario lavoro è in gran parte frutto dell’abilità di un italiano, Luigi del Bianco: uno scultore e maestro scalpellino al quale il National Park ha dedicato, nel settembre del 2017, una lapide a perenne ricordo della sua memorabile impresa. Del Bianco era nato nel 1892 a bordo di un transatlantico, vicino a Le Havre, da genitori friulani emigrati negli Usa. Il padre Vincenzo, avendone colto le doti nelle arti manuali, lo mandò a studiare a Vienna e poi a Venezia. Con questo viatico, e con l’entusiasmo degli adolescenti (di allora), il ragazzo ritornò in America in cerca di fortuna.
LA BUONA SORTE
Rientrò in Italia per arruolarsi durante la guerra, e quindi si trasferì definitivamente oltreoceano. Qui, per quella buona sorte che occasionalmente gratifica gli ingegni, fu introdotto nello studio di Gutzom Borglum, uno scultore stravagante e geniale, sospettato di appartenere al Ku Klux Klan e di nutrire idee razziste. Ciononostante, o forse proprio per questo, si era specializzato nello scolpire statue e teste di condottieri militari, compresa quella del Generale Lee, il comandante dell’esercito sudista, sostenitore della schiavitù dei neri.
Nell’America di allora questo non era un ostacolo, e l’abile Borglum fu incaricato di ricavare, dal solido granito delle Black Hills, i busti di quattro presidenti: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt, e Abraham Lincoln. I simboli, rispettivamente, della nascita, della crescita, dello sviluppo e della conservazione degli Stati Uniti.
Fu un’impresa colossale. I lavori originariamente prevedevano i quattro statisti scolpiti a mezzobusto, ma la scarsità di fondi fece ripiegare i progettisti verso una soluzione più modesta. Altre difficoltà derivarono dalle proteste dei Lakota Sioux, gli originari abitanti di quei luoghi sacri. Infine, le 410 mila tonnellate di roccia, rimosse in parte a mano in parte con la dinamite, crearono problemi di trasporto e di alterazione del paesaggio. Ma l’ostinazione di Borglum, l’abilità di Del Bianco e il sostegno del governo locale superarono questi ostacoli, e i lavori procedettero abbastanza spediti. Nel 1941 Borglum morì, ma il più era già stato fatto, e l’opera fu inaugurata poco dopo. Nel 1957 fu completato il Visitor Center, giusto in tempo per consentire al mago del brivido di girarvi la scena del finto omicidio di Cary Grant, braccato dai malfattori.
LE RIFINITURE
Quanto a Del Bianco, il suo incarico era di scolpire le rifiniture di espressione e i dettagli dei quattro volti. Egli lavorò particolarmente sugli occhi di Lincoln e di Jefferson, e persino i più scettici rimasero sbalorditi dall’accuratezza delle incisioni e dalla loro intensità emotiva.
Il nostro scalpellino ne fu soddisfatto, e ad opera finita ritornò a Port Chester, vicino a New York, dove costruì oltre cinquecento tombe marmoree. Ritornò spesso a Meduno, il paese di origine dei genitori, e la graziosa cittadina friulana lo ricorda con gratitudine esibendone fotografie e ricordi. Morì il 20 Gennaio 1969, con i polmoni minati dalla silicosi, a causa delle polveri respirate. Nick Clifford, l’ultimo superstite dei 400 operai che lavorarono al monte Rushmore, è mancato nel novembre dell’anno scorso, all’età di 98 anni.
Oggi quel complesso è inserito tra i top five statunitensi per numero di visitatori e ogni buon americano ritiene (o riteneva) di recarvisi almeno una volta nella vita, non solo per ammirarne l’imponenza, ma per rendere omaggio alla storia della Nazione che rappresenta. Tra l’altro è un luogo ricco di flora e di fauna rare e pittoresche, anche se l’orso di Vanzina è una simpatica licenza artistica, perché, ci ha confidato l’Autore, l’animale proviene dal Montana. In ogni caso, se non si temono i serpenti e non si soffre di vertigini, vale davvero la pena di farci una tappa.
IL PERICOLO
Con tutta la sua gloria, il Rushmore è comunque a rischio. I quattro presidenti, visti con la deformante lente dei pregiudizi contemporanei, non sono degli stinchi di santi. Washington era un ricco proprietario di schiavi, e se nutriva dei dubbi sulla loro condizione era solo per ragioni economiche. Jefferson, benché liberale illuminato, non fece nulla per abrogare questa istituzione, né ebbe scrupolo alcuno nello spedire Lewis e Clark all’esplorazione dell’Ovest, con l’occasionale sterminio dei nativi locali. Roosevelt era considerato un incorreggibile guerrafondaio e uno spietato cacciatore. Quanto a Lincoln, emancipò gli schiavi ma mantenne forti limitazioni ai diritti dei neri, limitazioni che durarono per un altro secolo fino all’avvento di Lyndon Johnson, oggi ricordato per la sventurata guerra nel Vietnam, ma di cui si dimenticano le radicali riforme sociali. Va da sé che, seguendo questi criteri, dovremmo espungere dalla storia la quasi totalità dei suoi protagonisti, ed eliminare dalle nostre biblioteche i libri più amati: comprese le lettere di San Paolo che, come è noto, esortava le mogli e i servi a ubbidire devotamente ai mariti e ai padroni.
IL FUTURO
C’è dunque la possibilità che, dopo aver rimosso le statue di Cristoforo Colombo e persino di Churchill, qualcuno proponga l’eliminazione dei quattro faccioni del monte Rushmore. Nondimeno, essendo l’impresa tecnicamente impossibile, salvo un uso massiccio della dinamite e una catastrofe ambientale ed economica, l’alternativa sarebbe quella di una riqualificazione politicamente corretta del sito. Ad esempio, una copertura come quella inventata da Christo, che a suo tempo ha ingabbiato la Porta Pinciana, impacchettato il Reichstag e progettato di imballare l’Arco di trionfo. Ma l’eccentrico maestro è morto, e nessuno sembra in grado di sostituirlo. Al contrario, in opposizione ai funesti propositi di demolizione del complesso, Trump ha lanciato l’idea di estenderne le dimensioni, aggiungendovi la propria immagine. Tuttavia, vista la scarsa popolarità di cui il Presidente gode nell’ambito artistico, e dopo la figuraccia dell’ultimo dibattito televisivo con Joe Biden, sembra difficile trovare un altro Del Bianco che ne assecondi i propositi, e probabilmente i quattro resteranno come sono.