Il Messaggero, 3 ottobre 2020
La riscoperta della lingua nü shu
Quest’anno Xin Hu, una delle sette interpreti al mondo di nü shu, ha dato il suo primo corso on line, su WeChat, il Whatsapp cinese. Il corso estivo organizzato nel bel museo di Puwei, isola sul fiume Xiao incastrata tra i fiabeschi pilastri carsici della regione di Hunan, ha attirato ben venti studentesse. L’antica lingua segreta delle donne continua ancora a parlare. La morte di Yang Huany, nel 2004, sembrava aver ridotto al silenzio quegli ideogrammi misteriosi che da secoli, forse addirittura millenni, le donne della contea di Jiangyon, nel sud ovest montagnoso della Cina, usavano per parlare tra loro, in un mondo patriarcale che le avrebbe condannate al silenzio.
Yang è morta a 94 anni, forse 98, nessuno ha mai potuto recuperare un certificato di nascita. Con lei morì l’ultima donna ad aver mai conosciuto una sorella di sangue così si chiamavano tra loro le ragazze unite dal nü shu, da quella lingua trasmessa dalle madri che solo loro potevano capire, l’unica lingua che avesse le parole per dire la malinconia, il dolore della separazione, la solitudine, il calore dell’amicizia, tutti i sentimenti che la società vietava alle donne. Un paio d’anni fa l’Unesco aveva dato l’allarme: il nü shu, l’unica scrittura al mondo riservata alle donne, l’unica scrittura di genere che si sia mai conosciuta, i suoi eleganti ideogrammi, che al contrario del cinese non rappresentano parole, ma sillabe, rischiavano di diventare incomprensibili.
E invece oggi il nü shu rivive. Merito in parte dell’alta borghesia colta della Cina, di una rinnovata passione per le tradizioni antiche che la rivoluzione culturale di Mao aveva invece condannato, e merito anche dell’interesse di qualche ragazza, erede lontana di quelle sorelle di sangue, che cento e cento anni fa riuscivano a costruire una vita più ricca e dignitosa solo grazie alle parole segrete per esprimerla.
IL RECUPERO
La rinascita della lingua nü shu sta facendo rivivere tutta la regione di Hunan. La Ford Foundation ha investito più di 200mila dollari per costruire il nü shu Museum a Pewei. Qualche anno fa il compositore cinese Tan Dun ha addirittura creato una sinfonia, nü shu, le canzoni segrete delle donne, suonata negli Usa, in Europa e in Giappone. Nel 2006 il nü shu è stato iscritto nel patrimonio culturale intangibile della nazione, segnandone così la definitiva riabilitazione. È soltanto dalla metà degli anni Ottanta che questa lingua misteriosa, semplice, fatta per essere soprattutto cantata, o ricamata su fazzoletti, foulard, veli che le donne portavano con loro fino alla cremazione, ha cominciato a essere nota al mondo esterno. Negli anni ’50 Zhou Shuoyi, un ricercatore decise di studiare e dare una sistemazione fuori dall’oralità alla misteriosa lingua che parlava sua zia. È ancora oggi l’unico uomo ad averne mai pronunciato le parole. Negli anni Sessanta il suo lavoro finì nel mirino della rivoluzione culturale: aver voluto imparare il nü shu gli costò 21 anni nei campi di rieducazione. Quando Zhou uscì, nel ’79, riprese a lavorare sulla misteriosa lingua della zia e nel 2003, un anno prima di morire, riuscì a terminare il primo e unico dizionario con i 1.600 caratteri del nü shu. La pronuncia, però si è quasi persa. Xin Hu è oggi una delle eredi.
Nata a Puwei, è stata lei a portare la lingua delle sue ave sui social. Oggi la insegna anche nei corsi di lingua al museo: «Alcune delle eredi ha imparato qualcosa della lingua dalle nonne, come la nostra insegnante più anziana, He Yanxin, che ha più di 80 anni». Le origini del nü shu restano un mistero. «Probabilmente entrano in gioco diversi fattori, l’assimilazione dei popoli non cinesi, l’imposizione di una cultura patriarcale là dove vigeva una società profondamente matriarcale, una regione isolata e impervia», ha spiegato alla Bbc Cathy Silber, docente di cinese allo Skidmore College di New York. Per Liming Zhao, ricercatrice che ha portato il nü shu anche all’università di Pechino, questa lingua misteriosa continua semplicemente a parlare «della forza e della bellezza delle donne».