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 2020  ottobre 03 Sabato calendario

Intervista a Ezio Greggio

Direttore di festival a pochi giorni dall’apertura, ma anche attore nell’occhio del ciclone per via della polemica sul film di Enrico Vanzina Lockdown all’italiana. Eppure Ezio Greggio, alla guida della 17esima edizione del «Monte-Carlo Film Festival de la Comedie» (in programma dal 5 al 10, dopo i rimandi dovuti al Covid), non perde mai senso dell’equilibrio e naturale buonumore: «Sono un po’ sotto pressione, ma è già importante riuscire a partire con il festival, nonostante tanti problemi». Un presidente di giuria del calibro di Nick Vallelonga, regista del premio Oscar Green book, più la giuria di sole donne (Sabrina Impacciatore, Maggie Civantos, Lotte Verbeek e Nastassja Kinski) sono i fiori all’occhiello di una kermesse destinata comunque a risentire dell’effetto pandemia: «Il festival si svolgerà nel pieno rispetto delle norme per il contenimento dell’emergenza ancora in corso e siamo certi che quest’anno, anche se avrà un sapore diverso, sarà comunque un’edizione speciale».
Come vive l’emergenza pandemia?
«Cerco di affrontare questo momento con spirito positivo, abbiamo dovuto fare tutti i conti con un dramma. Personalmente l’ho presa molto seriamente, disinfetto tutto, comprese le mail, per sicurezza. E durante il periodo in cui siamo stati chiusi in casa, se dovevano dirmi qualcosa preferivo un telegramma sotto la porta».
C’è chi dice che con il Covid c’è poco da ridere. Lei che ne dice?
«Penso che il pubblico continui a cercare la comicità. Durante il periodo del lockdown sono stati trasmessi spesso in tv i miei film del passato, la gente mi scriveva ringraziandomi per aver passato due ore in allegria».
Il suo ultimo film Lockdown all’italiana ha scatenato polemiche furiose. Che ne dice?
«Siete stati voi giornalisti, con una serie di giusti epiteti, a dare le risposte migliori a una manica di imbecilli. Che infatti, di colpo, si sono zittiti. Sul film sono state scritte scemenze, da persone che non l’hanno ancora visto. Si è parlato di mancato rispetto verso i morti. Ma quali morti? Il film mostra una grande considerazione per la tragedia che abbiamo attraversato, è un ritratto degli italiani vivi, di quelli che hanno vissuto chiusi in casa. Una commedia feroce nei confronti di un certo tipo di italianità. Tutto è molto divertente, non c’è niente di irriverente, anzi, in alcuni momenti, "Lockdown all’italiana" è anche toccante, provoca commozione».
Rispetto alle norme da applicare, lei come si regola, scettico o rispettoso?
«Mi rifaccio a "Non è vero, ma ci credo". Penso sia utile portare la mascherina, anzi, ne sono assolutamente convinto e, come risponderebbe Totò, dico che, secondo me, due sono meglio di una sola, una va a favore degli altri e un’altra a favore mio. E poi, in certi casi, sono di grande aiuto».
Per esempio?
«Diciamocela tutta, noi siamo spesso a contatto con persone, e spesso succede di incontrarne certe che hanno un alito capace di uccidere un cavallo. Insomma, ci sono pure dei vantaggi, quindi viva la mascherina».
Ha una carriera piena di successi e incontri fondamentali, c’è qualcosa che non rifarebbe?
«Cosa non rifarei? La pizza. Durante il lockdown ci ho provato, ma non sono riuscito a tagliarla nemmeno con il black&decker. Un altro tentativo l’ho fatto con il risotto. Quello, almeno, mi è stato utile, l’ho usato al posto del cemento per tappare certi buchi del terrazzo».
È un comico celebrato, ma ha anche interpretato, con successo, ruoli seri e drammatici. Sente che su questo terreno potrebbe dare di più?
«Nel momento in cui arriva una proposta valida, sono prontissimo ad accettare ruoli diversi, mi è capitato, con Pupi Avati, e con altri registi. Se c’è bisogno mi metto in gioco volentieri, ma se non succede non ne faccio un dramma».
Quali sono stati gli incontri più importanti della sua vita professionale?
«Ne ho avuti tanti. Ricordo per esempio il giorno in cui ho incontrato Alberto Sordi. Me lo presentò Lello Bersani, non ero ancora famoso, parlammo a lungo . E poi quando ho conosciuto Mel Brooks, un incontro fantastico, che mi ha cambiata la vita. Ho anche passato delle serate stupende con Peppino De Filippo, ci siamo raccontati tantissime cose. Da lui ho imparato tanto. Una volta gli chiesi perché avesse abbandonato un personaggio così amato e popolare come Pappagone. Mi rispose "perché quando vado per strada non voglio che la gente mi saluti dicendo ciao Pappagone". Fu una grande lezione. Ho capito allora che, quando fai il comico, devi essere più forte del personaggio, sennò finisci per essere cancellato dal ruolo che interpreti».
Su cosa si fonda l’intesa con Antonio Ricci?
«Disaccordi ne abbiamo pochi, dopo 38 anni di lavoro fianco a fianco, ci capiamo in automatico, non c’è nemmeno bisogno di parlare».
La sua immagine è fatta di vitalità. Da dove le arriva questa carica?
«L’entusiasmo l’ho ereditato dai miei che non si sono mai dati per vinti, mio padre ha fatto la guerra, si impara molto dalle persone che hanno sofferto».