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 2020  ottobre 03 Sabato calendario

La beffa della parità Uomo/donna sulla scheda

E si è arrivati al 22,3% di donne elette nei consigli delle Regioni. E’ poco? E’ molto? La parità è lontana ma è il record assoluto di presenze femminili in questo tipo di votazioni, il doppio rispetto a dieci anni fa. Ma era anche la prima tornata elettorale in cui in tutte le regioni si votava con la doppia preferenza di genere, un risultato ottenuto in Puglia e in Liguria solo un mese e mezzo prima del voto. E in Puglia ci si è arrivati solo dopo un intervento del governo di fronte all’incapacità della Regione di trovare un accordo.
Non una priorità per le Regioni, quindi, e non un risultato eccezionale. Che cosa non ha funzionato? «La doppia preferenza è un punto di partenza» sostiene un documento della Conferenza delle democratiche piemontesi. Conta molto la realtà locale. In Toscana la presenza di donne nei consigli regionali è del 40%, 16 su 40 componenti del consiglio. In Liguria sono il 10%, 3 su 30 consiglieri eletti, due in meno rispetto alle precedenti elezioni quando la doppia preferenza non era in vigore. Percentuali basse anche in Valle d’Aosta (11%) e Campania e Puglia (16%). «Bisogna dare alle donne il tempo di impadronirsene e di capire come sfruttare i suoi meccanismi senza farsi sfruttare dagli uomini», spiega Daniela Carlà, dirigente generale della pubblica amministrazione e promotrice di Noi Rete Donne. Il meccanismo infatti prevede un abbinamento volontario con gli uomini ma va messo a punto. Patrizia Del Giudice era capolista in Puglia nella lista personale di Raffaele Fitto dopo una lunga battaglia come presidente della commissione Pari Opportunità per ottenere la doppia preferenza: «Gli uomini mi chiamavano, incuriositi dalla mia storia e dal fatto che fossi capolista. In cinque hanno chiesto l’abbinamento». E’ andata a finire che lei, capolista, non è stata eletta mentre uno dei cinque aspiranti all’abbinamento siede in consiglio regionale. «Ci vogliono regole più chiare - spiega - e le donne nelle liste sono ancora poche ma chi può permettersi di spendere migliaia di euro per una campagna elettorale con il forte rischio di perdere?». Di sicuro non le donne, secondo Giovanna Badalassi, coautrice del blog Ladynomics: «Cancellato il finanziamento pubblico ai partiti la raccolta fondi è sempre più importante ma non abbastanza trasparente: questo penalizza le donne che hanno meno contatti nel mondo delle imprese». E la parità resta lontana.