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 2020  ottobre 03 Sabato calendario

I 30 della riunificazione della Germania

Così come il Reno finisce in mare, così arriveremo alla Riunificazione tedesca». Nel giugno del 1989, Helmut Kohl disse queste parole a Michail Gorbaciov, a pochi mesi dalla caduta del Muro di Berlino. E qualche settimana dopo quell’evento che cambiò il mondo, il cancelliere andò in Parlamento a ripetere, in modo più sfumato, quel concetto. Nessuno ci credette. Ma le due Germanie si fusero nel giro di neanche un anno, e i timori di Thatcher, Andreotti o Mitterrand di una Germania troppo grande per non minacciare il futuro pacifico dell’Europa si rivelarono infondati. Oggi, nel trentennale della Riunificazione, fiumi di inchiostro saranno scritti per rendere omaggio al genio di Kohl. Ma i due interrogativi altrettanto importanti sulla Germania, in questo anniversario, riguardano il suo ruolo nell’Europa e il bilancio della fusione tra la Bundesrepublik e la Germania comunista. Il cruccio di Thomas Mann, che temeva un’Europa germanica e auspicava una Germania più europea, non pare del tutto risolto.Sulla fusione tra est e ovest, le statistiche economiche parlano chiaro: i tassi di occupazione o il ritmo di crescita sono ormai quasi allineati – e non bisogna mai dimenticare che la Ddr era uno Stato in bancarotta. Come ricorda l’allora ministro delle Finanze della Germania federale, Theo Waigel, nel 1991 la Germania est «sarebbe implosa». Il bilancio politico è meno roseo: a est, un quinto o un quarto della popolazione vota estrema destra, ossia Afd. Un partito con cui nessuno vuole governare, il paria della politica tedesca. E un’indagine recente della fondazione Bertelsmann dimostra che il 59% dei tedeschi della Germania est si sentono ancora cittadini di serie B, rispetto ai cugini occidentali.
Anche il posizionamento della Germania nel mondo, apparentemente rivoluzionato, mantiene qualche analogia con la vecchia Bundesrepublik. C’è una totale asimmetria tra il suo peso economico e quello militare. Thatcher aveva torto quando temeva che gli inglesi avrebbero dovuto, prima o poi, battere i tedeschi “per una terza volta”. Come ci ha detto di recente il direttore della Conferenza di Monaco, Wolfgang Ischinger, l’idea che la Germania possa un giorno dotarsi della bomba atomica, come il suo vicino di casa, la Francia, o altre medie e grandi potenze globali, è “un tabù, un no go”, impensabile.
Angela Merkel, che ha governato il Paese per metà del tempo dalla Riunificazione a oggi, ha tentato di mantenere salda la leadership politica della Germania in Europa. Ma i risultati sono altalenanti: non ottimali nella crisi dei debiti, assolutamente straordinari durante la pandemia. Desta ancora stupore la dinamica tedesca nei primi mesi della pandemia: la cancelliera ha speso tutte le sue energie e ha investito tutto il suo capitale politico sul rafforzamento dell’Europa in uno dei momenti più bui della sua storia. Ma a cinque anni dall’emergenza profughi, una delle questioni cruciali – anche per contenere i populismi – resta quella migratoria, che la Germania e l’Ue devono ancora risolvere. E si sta accentuando il problema di due coalizioni, quelle dei Visegrad e dei “frugali”, che si sono rafforzate in funzione di freno a una maggiore integrazione europea, e che si muovono palesemente in un’ottica di contrasto al motore franco-tedesco.
Anche dal punto di vista economico, la Germania ha approfittato dell’evoluzione europea post-riunificazione, anzitutto con un euro disegnato a immagine e somiglianza del marco e dunque perfetto per un’economia abituata a una moneta forte. L’Italia e altri Paesi abituati alla svalutazione competitiva sono arrivati molto meno preparati all’appuntamento con l’euro. Per responsabilità loro, certo. Ma se l’economia tedesca continua a registrare colossali surplus commerciali, non può sempre nascondersi dietro la scusa di un’economia molto competitiva. La riflessione su come rafforzare la domanda interna, anche a beneficio dei partner europei, dovrebbe essere un compito importante, per i prossimi decenni.