la Repubblica, 2 ottobre 2020
X Factor visto da Michele Serra
Chi segue X Factor (ieri è andata in onda la terza puntata della prima fase, quella delle audizioni) lo fa, ovviamente, perché ama la musica popolare, che nelle sue diverse e a volte diversissime forme, da Murolo al trap, si serve comunque di quel miracoloso contenitore universale che è la canzone. Ma lo spettacolo, ormai un classico televisivo mondiale, fa leva soprattutto sulla ricucitura di uno strappo. Sul riempimento di un vuoto. Lo strappo, il vuoto, è quello tra adulti e ragazzi. Nello specifico, è la dimenticanza (adulta) del dovere del giudizio, che disattende il bisogno (giovanile) di essere giudicati.
Il vertice emotivo e spettacolare di X Factor è il giudizio. Quattro adulti – ampiamente tale è anche il trentenne Hell Raton, perché il successo, così come la disgrazia, rende cresciuti a qualunque età – assistono a una serie di esibizioni e le giudicano: promosso, bocciato. A differenza di un normale e banale concorso di canzoni, questo giudizio è fortemente teatralizzato. È la scena madre; e per quanto l’artificio televisivo si avverta, si avverte anche la sostanza, che è tanta, e corrisponde a qualche milione di tonnellate di umanità, e di vita, riassunti in pochi minuti di primi piani, e in poche frasi, molto spesso incorniciate dal silenzio. La fatica dei giurati, le loro emozioni, la loro sofferta durezza, la loro responsabilità di decidere, la loro felicità quando promuovono e la loro cupezza quando bocciano è perfino più coinvolgente della fatica dei concorrenti, quasi tutti sui vent’anni e anche meno, che attendono una sentenza forse determinante per il loro futuro; e comunque esito di mesi e anni di sogni e di speranze. Penso sempre, guardando X Factor — e lo guardo da anni – che non potrei mai fare il giurato. Non perché non possieda giudizio – ne possiedo anche troppo – ma perché di fronte al figliolo, alla figliola che ci sta provando, mi scioglierei come il burro. Rimasi molto colpito, la scorsa edizione (sono un fan) dalla lunga, interminabile esitazione di un giurato, Lodo Guenzi, che non se la sentiva, proprio non se la sentiva di dare il pollice verso. O di dare il via libera, non ricordo. Ricordo solo l’interminabile blocco del giurato improvvisamente disertore, nel quale mi riconobbi nonostante i trent’anni di differenza, a mio svantaggio. Non voleva decidere il destino di un altro/ a. Non si sentiva in grado. Come lo capisco.
Certo si guarda X Factor anche per godere della gioiosa meraviglia che coglie di fronte al talento, che sgorga dal nulla, come l’acqua dalla pietra. E lo immagini coltivato dentro camerette qualunque di case qualunque, con genitori perplessi, mezzo perplessi mezzo tifosi, che pensano “mi sembra bravo/ a, ma chissà, magari sarebbe molto meglio che finisse ragioneria”, e la tigna un poco folle dell’adolescenza che attorno a una chitarra, a una tastiera da pochi euro, ricama sogni di gloria. Credo di avere detto ad almeno cinquanta persone, un paio di settimane fa, di cercare in rete la ragazzina di nome Casadilego che suona e canta Joni Mitchell, sono momenti in cui il mondo ti sembra improvvisamene guarito, i giurati, quattro su quattro, avevano gli occhi pieni di lacrime per la felicità di poter dire: benvenuto, talento! Benvenuta, arte! Lo stesso feci per una ragazza di Asti che cantava La sera dei miracoli di Dalla, un paio di edizioni fa, cioè cantava una delle canzoni più belle di tutti i tempi, con una forza, una voce, una misura che ancora ce le ho nelle orecchie. Chissà che fine ha fatto, quella ragazza di Asti.
Ma più di tutto sento di dover ringraziare, uno per uno, i quattro adulti di successo (Manuel Agnelli, Emma Marrone, Michael Holbrook Penniman detto Mika, Manuel Zappadu detto Hell Raton) che anche per mio conto, e per conto di tutti, fanno dono a decine di ragazzi del grande bene che un adulto può distribuire: il giudizio.
Va bene, li pagano, sono giudici ben retribuiti, ma vi sembra che sia questo il punto? Il punto è la capacità di dare qualcosa agli altri. L’esperienza, la conoscenza, lo sguardo sperimentato, la superiore somma di vittorie e di sconfitte che chi ha vissuto molto può dare a chi ha vissuto di meno. L’adulto che giudica è generoso. L’adulto che non giudica è tirchio.