Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2020
Germania, la pandemia scopre un Est più resistente
«L’economia in Germania sta reagendo relativamente bene alla violenta recessione causata dalla pandemia del coronavirus. Questo in parte è dipeso dalla crescita degli ultimi anni ma direi in particolar modo questa resilienza viene dai progressi del processo di integrazione dell’economia tedesca nel trentennio post-riunificazione». Marc Schattenberg, economista di Deutsche Bank ed esperto del mercato del lavoro, conferisce al successo della Deutsche Wiedervereinigung – l’anniversario dei 30 anni ricorre domani per la Festa dell’Unità – la forza economica che sta consentendo alla Germania di reagire con vigore, e ampio spazio fiscale, alla crisi del Covid-19.
Eppure dando un primo sguardo alle statistiche dei contagi in Germania che sono arrivati ieri a un totale di 291.722 casi, il coronavirus sembrerebbe aver spaccato di nuovo il Paese in Est ed Ovest. I Länder con più contagiati e più decessi da Covid-19 per 100.000 abitanti da inizio pandemia sono quelli occidentali, come la Baviera (524 casi e 20,4 morti), il Baden-Württemberg (449 e 17) e la Renania settentrionale Vestfalia (394 e 10,5) contro i bassi numeri degli Stati-Regione della ex-DDR come Turingia (192 e 8,9), Brandeburgo (171 e 6,7), Meclemburgo-Pomerania (74 e 1,2), Sassonia (179 e 5,8) e Sassonia-Anhalt (120 e 3,1). Una spaccatura tra alti e bassi tassi di infezioni da Covid-19, questa, che si presta a spiegazioni tutto sommato ovvie e conclusioni altrettanto scontate: l’ex-Germania dell’Est è più rurale, ha città meno popolose rispetto all’Ovest (Berlino è un caso a parte), ha un’industria manifatturiera più concentrata nelle Pmi di piccole dimensioni e con meno conglomerati, ha una popolazione con età media più elevata – a causa dell’imponente migrazione dei giovani da Est a Ovest post-riunificazione – e quindi l’Oriente ha meno mobilità, un benessere meno diffuso e più moderato rispetto alle regioni più ricche, e queste sono tutte possibili motivazioni dietro il contagio relativamente contenuto.
In realtà, il coronavirus ha sì spaccato la Germania ma senza riedificare un muro pandemico: le divergenze all’interno di ogni Land, tra aree urbane e rurali, tra alta e bassa densità di popolazione, tra quartieri ricchi e poveri, tra maggiore o minore mobilità. All’inizio della pandemia, i primi contagi in Germania sono stati ricondotti alle vacanze dei tedeschi nelle località sciistiche e di conseguenza Covid-19 ha colpito di più i Länder confinanti con le Alpi e meno gli Stati come il Meclemburgo-Pomerania, ma anche Schleswig-Holstein (quest’ultimo Land aveva il primo ottobre 166 contagiati per 100.000 abitanti da inizio pandemia, tra i più bassi in Germania).
Dr. Hajo Zeeb del Leibniz-Institut für Präventionsforschung und Epidemiologie, contattato dal Sole 24 Ore, ha attribuito il basso tasso di contagio nella ex-DDR oltre ai fattori ovvi come quello della bassa densità di una popolazione più anziana, «anche solo semplicemente a un’esposizione al virus minore o ritardata, abbinata all’efficacia del rispetto delle misure di contenimento. In alcune città dell’Est, come per esempio Jena, l’obbligo delle mascherine in luoghi pubblici è stato introdotto molto presto, agli inizi di aprile, e questo è un esempio di come in queste zone i politici abbiano preso seriamente la pandemia. Dobbiamo ancora approfondire un’altra ipotesi, che è quella di una migliore resilienza nell’Est proveniente da un tipo di immunità dovuta ad altre vaccinazioni». Proprio i bassi livelli di contagio hanno portato i Länder dell’Est, che in alcuni giorni hanno registrato zero contagi, ad allentare le misure di contenimento, ben prima delle zone più colpite dal virus. Ma un portavoce della Turingia ci ha tenuto a precisare che il suo Land sta registrando adesso un aumento dei contagi come sta avvenendo nel resto della Germania e che la strategia che la Turingia adotterà ora sarà in linea con le indicazioni a livello federale, che sono quelle di intervenire prontamente con misure di contenimento mirate, circoscritte ai focolai, guardando con attenzione l’andamento dei contagi per 100.000 abitanti su base settimanale che per ora in Turingia è al 4,5 contro il 14,9 a livello nazionale.
«Non c’è alcuna spiegazione puntuale, scientifica, sul perché i Länder ex-Germania Est siano stati meno colpiti dal virus. Forse perché abbiamo più anziani, e gli anziani si muovono meno e aderiscono di più alle misure preventive igieniche, ma queste sono solo congetture», ha affermato il portavoce del Brandeburgo. Anche il portavoce della Sassonia ha detto che non esistono spiegazioni precise sulla differenza dei contagi tra Occidente e Oriente, aggiungendo che un fattore che può aver pesato nel suo Land è l’assenza di aeroporti internazionali come Francoforte. Il portavoce della Sassonia-Anhalt ha sostenuto che «ragioni valide» sulla diversità dei contagi tra Stati non ce ne sono, e ha solo aggiunto che il suo Land è dominato da aree rurali dove la bassa densità di popolazione rende il distanziamento sociale più facile rispetto a luoghi come Berlino. Sassonia-Anhalt è anche lontana dalle zone sciistiche che hanno generato la prima ondata di contagi e di titoloni sui giornali in Germania.
Sotto il profilo dell’impatto economico del coronavirus, tuttavia, a conti fatti la Germania Est risulta meno colpita rispetto agli Stati occidentali, proprio per la diversità che ancora esiste – anche se enormemente ridimensionata rispetto a 30 anni fa – tra produzione, crescita, occupazione. Secondo Oliver Holtemöller, economista vicepresidente di Halle Institute for Economic Research (IWH), la Germania orientale sembra meno colpita dal crollo economico provocato dalla pandemia rispetto al resto del Paese, e la diversità dei contagi potrebbe aver contribuito a questo in quanto la mobilità nell’Est non è diminuita tanto quanto nell’Ovest. IWH prevede per quest’anno una contrazione del Pil tedesco del 5,7% ma un -3% per la Germania orientale. E un tasso di disoccupazione in Germania in aumento dal 5% nel 2019 al 6% nel 2020, e negli Stati ex-Est rispettivamente dal 6,4% al 7,4%, un rialzo su valori già alti che dipendono da fattori strutturali e non dal coronavirus. Marc Schattenberg, economista DB, ha rilevato che nella crisi Covid, il ricorso al lavoro a orario ridotto è stato più elevato nell’industria manifatturiera e quindi negli Stati dove sono presenti le maggiori industrie automobilistiche o dell’aviazione. Dunque non si tratta di fattore Est-Ovest: gli Stati meno industrializzati come Schleswig-Holstein o Bassa Sassonia registrano meno casi di orario ridotto. L’occupazione nell’industria metallurgica, elettrica e dell’acciaio in Baviera è calata del 3% a giugno (anno su anno) e in Turingia del 3,9%, mettendo in evidenza un andamento molto simile. Il terreno che l’Est deve ancora colmare, per recuperare il gap nei confronti dell’Ovest a trent’anni dalla riunificazione, sta nella minore integrazione economica su scala internazionale perché i Länder ex-DDR sono ancora dominati da Pmi molto piccole (che stentano nell’internazionalizzazione) e popolazione più anziana e nel medio termine questi fattori peseranno e rallenteranno il cammino della convergenza. Anche nell’era post-Covid.