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 2020  ottobre 02 Venerdì calendario

Depardieu contro tutti

Non parlate a Gérard Depardieu degli ecologisti e delle loro battaglie per il Bene, perché vi risponderebbe così. «Sono veramente delle persone pericolose, dei giudici, con quel modo di puntare il dito contro le persone. Di dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Con quell’ossessione malsana per la purezza. Sono degli inquisitori, degli ayatollah, degli Hitler del bene, i totalitari di domani».
E non chiedetegli nemmeno se oggi in Francia c’è un politico che gli piace: «La Francia era già confinata, ma non lo sapeva. La barbarie del confinamento è che i politici non hanno idea di dove siano e cosa sia questo fottuto Covid-19. Da marzo a oggi sono state dette una caterva di sciocchezze». Ma nonostante la crisi sociale e culturale che il suo Paese sta attraversando, e che lui definisce senza mezzi termini «depressione francese», c’è ancora chi lo fa emozionare, sorridere e sentire radicato alla sua terra natia: Michel Houellebecq. «Per fortuna, dal letame della depressione francese possono ancora crescere dei bei fiori. Penso a Michel Houellebecq, al suo ultimo romanzo, Sérotonine. Lui, Houellebecq, è un dandy. Un dandy magnifico, un po’ come lo era Serge Gainsbourg, con la sua percezione particolare delle cose, con quella grande poesia, con quel lato di ebreo errante che in lui era sublime», scrive Depardieu nel suo ultimo libro, Ailleurs (Le Cherche-Midi), in uscita il prossimo 8 ottobre.
Il settimanale Le Point, che ieri ha pubblicato alcuni estratti di questo trattato di libertà e ribellione scritto dal più grande degli attori francesi viventi, lo ha incontrato nella sua dimora parigina per un’intervista senza freni, meravigliosamente esagerata, perché Gégé, si sa, ha sempre detestato la langue de bois. «La Francia rurale non esiste più. Ci sono solo persone bloccate davanti a un’altra finestra, quella dei social network», ha detto al Point Dépardieu. La Francia è «vecchia», «piena di artrite», e nelle strade, scrive il Gérard nazionale, c’è un «silenzio inquietante». «Non ho mai visto un Paese dove le persone si fermano così poco per strada a parlare. Corrono da un luogo all’altro e rientrano rapidamente a casa loro. Ora evito anche di chiedere a quelli che incrocio a Parigi come va. Perché la maggior parte delle volte che glielo chiedo, mi dicono che non va affatto bene. Eppure, ci sono ancora Paesi dove c’è un’energia incredibile, città come Teheran, Novosibirsk in Siberia, Omsk. Non ce ne rendiamo conto qui. Cosa ci resta?», si chiede Gégé. Tra ricordi d’infanzia, viaggi al termine del mondo, amore passionale per la cultura russa e per le religioni, il giudizio sul popolo francese è molto severo, un popolo che considera nevrotico e ripiegato su se stesso. «I francesi sono tagliati fuori dalla loro storia. Girano a vuoto. Lo si vede nei romanzi che escono in questo momento. Prendete Emmanuel Carrère. Mi era piaciuto molto Il Regno, c’erano delle pagine formidabili sulla fede. Ho trovato invece Yoga un po’ compiacente. Ma i peggiori sono quelli che fanno i regolamenti di conti familiari, come il piccolo Raphaël Enthoven».
Per curare la Francia, anzitutto, bisognerebbe fare meno politique politicienne, dice Depardieu, «e provare a vivere con ciò che abbiamo. Abbiamo distrutto i tre quarti di ciò che avevamo. Si pensi solo alla ruralità. Trovare un medico in campagna è diventato impossibile». La globalizzazione e il decostruzionismo, secondo Gérard, sono due dei mali che hanno rovinato la sua Francia, la Francia di Châteauroux, dov’è nato settantuno anni fa, quel mondo rurale, bucolico, che le élite parigine hanno sacrificato sull’altare della start-up nation e del nomadismo.
Un mondo che il presidente russo Vladimir Putin, dice Depardieu, non ha invece mai abbandonato. «Mi ha dato molte lezioni di geopolitica. Io non parlavo di politica. È lui che lanciava la conversazione su questi temi. Gli ho detto che ammiravo Caterina la Grande. Putin parla di storia e di religione (). Ah, la grande Russia! () Lì c’è tutto! La letteratura e la musica sono ancora delle cose popolari», racconta Gérard, naturalizzato russo il 3 gennaio 2013.
Il confinamento, prima di tornare a Parigi, lo ha vissuto rinchiuso nel suo castello di Tigné, nella Loira. Del coronavirus, dichiara di non avere paura, ma di rispettare «alcuni gesti» barriera, «anche se ci trattano come dei bambini». E sulla nostra epoca sentenzia: «Restare positivi è l’ossessione della nostra epoca. Ma siamo in una situazione di merda terribile».