la Repubblica, 2 ottobre 2020
L’anoressia di Martina Trevisan
PARIGI – Un sorriso può nascondere ferite che nemmeno immaginiamo. Martina lo sa. Le cicatrici restano, ma ci si può convivere. Martina Trevisan ha realizzato come in ognuno di noi sia presente un bambino sofferente, che versa lacrime sulle ferite del passato. E che fare pace con se stessi invita a fare pace con il passato. Esattamente quello che lei ha fatto. Oggi la celebriamo per il suo ritorno al tennis che conta, a Parigi nel terzo turno affronterà questo pomeriggio la greca Maria Sakkari. Ma Martina, 26 anni, fiorentina, cresciuta sportivamente a Santa Croce sull’Arno, ha vinto più di uno Slam: si è ripresa la sua vita. Ha trionfato sull’anoressia, un buco in cui era finita per motivi familiari. Fino a qualche anno fa non sapevamo nulla del perché avesse lasciato il tennis nel 2010, ad appena 16 anni, dopo essere stata campionessa italiana under 12, 14 e 16. Lei, riccioli neri, 160 centimetri di statura, talentuosa mancina, figlia di Monica, insegnante di tennis, e di Claudio, calciatore in B negli anni 70, e sorella di Matteo, tennista ex numero 1 del mondo juniores, era considerata la grande speranza del movimento azzurro. Per quattro anni e mezzo è sparita. E chi provava a chiederle cosa le fosse successo non faceva altro che mettere il dito nella piaga di una ragazza di rara sensibilità, che non era ancora pronta a liberarsi del fardello che per tanto tempo aveva portato. Arrivata a un punto di non ritorno, Martina ha ritrovato la forza. E si è liberata: «Dentro le mura di casa non si respirava un’aria serena e io passavo molto tempo ad allenarmi. Dentro di me sentivo di avere una sorta di responsabilità. Come se la mia ferrea dedizione al gioco potesse curare le ferite della famiglia intera. Io dovevo essere la cura, non potevo certo stare male». Avrebbe potuto, una ragazzina come lei? No, non poteva. Così ha reagito con quelli che erano i suoi mezzi a disposizione: ha cercato di attirare l’attenzione su di sé. «Quella che chiamavo libertà era una fuga. Ma mentre hai il vento in faccia è difficile capire chi corre e chi scappa». Nuovi equilibri familiari l’avevano destabilizzata. «A papà era stata diagnosticata una malattia ed è stato meno presente nella mia crescita. E non è stato facile vedere mamma ricostruire la sua quotidianità con una nuova persona accanto. Ero arrabbiata con lei e non conoscevo altra arma per ferirla che non il suo amore per me». Ecco l’anoressia: «Trenta grammi di cereali e un frutto la sera: la mia dieta, quanto mi bastava per stare in piedi e per far preoccupare mia madre che correva a cogliere le pesche dagli alberi pur di vedermi mangiare qualcosa». Il tempo ha aiutato Martina a capire che doveva farsi aiutare: «Sono stata rieducata a mangiare, a fare pace con le mie ferite. Ad apprezzare il mio nuovo corpo, a perdonare chi aveva sbagliato e a ritrovare il mio tempo per fare le cose». Come il tennis: «L’unica cosa che mi fa sentire libera e serena». Il resto verrà da sé.