La Stampa, 1 ottobre 2020
Il cimitero dei feti abortiti a Roma
Riquadro 108, cimitero Flaminio. Seduta in un angolo una donna piange. Alla sua destra una distesa di trecento croci: le più moderne in ferro, le prime in legno. Si inizia dal 2016 e si va avanti fino al 15 settembre di quest’anno, due settimane fa. Tutte hanno una targa con un codice, una data e un nome e cognome di donna. È il cimitero dei feti abortiti negli ultimi quattro anni ma anche il cimitero delle madri che hanno abortito, una sorta di pubblica gogna come nei secoli più bui della storia.La donna ha in mano due fogli. Il primo è un certificato dove è scritto il suo nome, Francesca Tolino, e alcune coordinate: Riquadro 108, fila 19, Fossa 36. Il secondo è una mappa per individuare il campo, il riquadro e poi anche la sua fossa all’interno di 140 ettari di tombe, lapidi e croci.Francesca è arrivata nel pomeriggio, dopo aver letto la denuncia di un’altra donna, Marta Loi, di aver scoperto il suo nome su una delle croci del riquadro 108 del cimitero Flaminio. Ha dovuto interrompere anche lei la sua gravidanza per una malformazione cardiaca emersa nel feto durante l’esame morfologico di rito. Il dolore, la perdita, il lutto. «Nessuno mi ha chiesto nulla sulla sepoltura, lo scopro ora», spiega quando riesce a farsi forza e a parlare.«È inammissibile che il nome delle madri appaia, che non ci sia difesa della loro privacy. Ed è paradossale che questo sia l’unico caso in cui viene riconosciuto il cognome della madre», commenta Livia Turco, ex ministra della Salute, da anni impegnata nella difesa della legge 194.«Reagiremo con grande determinazione alla violazione dei nostri diritti umani e della libertà. Ci sarà una class-action, assicura Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza Donna.Nel frattempo il Garante della Privacy apre un’istruttoria e un numeroso gruppo di parlamentari e consigliere regionali del Lazio ha presentato un’interrogazione parlamentare e un’altra, parallela, al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A lanciare l’iniziativa sono state la deputata Leu, Rossella Muroni, e la capogruppo della Lista Zingaretti, Marta Bonafoni. La questione è tutta da chiarire: per la sepoltura dei feti non esiste un regolamento regionale, si fa riferimento al Regolamento nazionale del 1990, che prevede che dalla 20ma settimana di gestazione la sepoltura possa avvenire su richiesta dei genitori oppure su disposizione delle Asl. In questi casi però non c’è stata alcuna richiesta e c’è un’evidente violazione della privacy oltre a un serio danno morale.L’Ama, la municipalizzata che si occupa della sepoltura, sostiene che il cimitero di Prima Porta si è limitato «a eseguire la sepoltura a fronte di un consenso già dato per espresso» dalla Asl, la croce è il segno «tradizionalmente in uso» e l’epigrafe «deve riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura». Ma anche l’ospedale dove è stato praticato l’aborto – il San Camillo di Roma (nel caso di Marta Loi, n.d.r.) – sostiene di non avere colpe: i feti vengono identificati con il nome della madre solo per la burocrazia legata al trasporto, spiegano, e le carte vengono consegnate ad Ama al momento della presa in carico dei feti. Da quel momento in poi «gestione e seppellimento sono di completa ed esclusiva competenza di Ama» e la violazione della privacy è avvenuta «all’interno del Cimitero Flaminio».