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 2020  ottobre 01 Giovedì calendario

6QQAFM10 La favola di madame Voltaire

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“È morto un grand’uomo, con l’unico difetto di essere donna”, così lo spiritoso Voltaire si congeda dalla sua storica amante, la marchesa du Châtelet, spirata nel settembre del 1749, a neanche 43 anni, per le conseguenze di un parto.
Che ingrato il filosofo: tutto quello che sa di matematica e fisica lo deve proprio alla sua “Madame Pompon-Newton”, all’anagrafe Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, parigina, altolocata, classe 1706. Ora, finalmente, più di 300 anni dopo, la signora viene ricordata e riabilitata, non solo come The Divine Mistress, “l’amante divina” di Voltaire, Richelieu et al., ma soprattutto come Femme des Lumières, donna dei Lumi, intellettuale, matematica, fisica e pure letterata.
Di lei traduttrice è appena uscita – in anteprima mondiale, grazie a Marietti 1820 – La favola delle api, il suo primo lavoro letterario del 1735, rimasto fino a oggi manoscritto e conservato nella Biblioteca nazionale di San Pietroburgo (a cui furono venduti tutti i testi di casa Voltaire): questo adattamento francese della Fable of the Bees di Bernard Mandeville è un’opera acerba e incompiuta; alla marchesa non interessa tanto la satira sociopolitica quanto le idee “proto-femministe” del pensatore olandese. Per questo, il valore dello scritto sta più nelle note e nella prefazione che nella traduzione in sé, anche perché manca del tutto l’Alveare scontento, il poema che costituisce il nucleo primitivo del saggio. Questa insomma è una Favola delle api senza api.
Poco importa, l’eccentrica du Châtelet regala riflessioni non scontate per l’epoca: “Per quanto mediocre sia la letteratura, si troverà che sia troppo azzardato per una donna ambirvi. Avverto su di me tutto il peso del pregiudizio che esclude così universalmente le donne dalle scienze… Vi sono grandi nazioni la cui legislazione permette a una donna di reggerne le sorti, ma non ve ne è alcuna in cui siamo educate a pensare”.
A lei, invece, andò decisamente meglio: bambina prodigio, Émilie è avviata sin giovanissima, proprio come i fratelli, allo studio delle lettere classiche, della matematica, della fisica, della musica e delle lingue moderne (in particolare tedesco e spagnolo). All’età di diciannove anni sposa il marchese Florent-Claude du Châtelet – da lì il blasone nobiliare –, da cui ha tre figli. Frivola e volitiva, abbandona presto il nido familiare per frequentare il bel mondo dei salotti parigini, compreso il gioco d’azzardo. Il colpo di fulmine con Voltaire scatta proprio durante una serata mondana, all’opera, nel 1733. Dopo appena due anni i due vanno a convivere, o meglio lei offre ospitalità e rifugio a lui (censurato e perseguitato per le sue idee rivoluzionarie) nel castello di Cirey: “Mi sono meravigliata di aver dedicato un’attenzione estrema ai miei denti e ai miei capelli, trascurando invece il mio intelletto”, scrive la marchesa nella sua Favola. E che favola, con il filosofo: amore, studio, cenacoli e spettacoli. All’interno del maniero, infatti, la coppia allestisce anche un laboratorio di fisica e un teatro, oltre alla sala dei ricevimenti che ospita intellettuali e scienziati da tutta Europa.
Non ancora trentenne, Émilie si cimenta con la traduzione di Mandeville: è lo stesso Voltaire a passargli l’opera e a incoraggiarla, benché la canzoni spesso come “la più colta delle donne, ma la più frivola delle colte”. Deliziosi, in tal senso, sono i commenti all’originale, tra parentesi quadre, della traduttrice, più spesso imperiosa commentatrice: “Questo è totalmente falso… Questo è un po’ tirato per i capelli… La metà di ciò che l’autore dice non è che un continuo paralogismo… Bisogna fare attenzione a non abusare dell’ironia…”.
È serissima, la marchesa, lei che ha studiato geometria e fisica coi più grandi maestri, come Maupertuis, e sui più grandi classici, come quelli di Leibniz, entrambi detestati dall’amato Voltaire: ah, i matematici; l’illuminista non sempre illuminato stenta a capirli. Per i numeri, lui, ha scarso talento: la sua più grande impresa scientifica è infatti la liaison con Émilie, lei, sì, scienziata, passata alla storia soprattutto per la sua traduzione e divulgazione dei Principia di Newton. Altro che il Candido di Voltaire: “Non ho perso un’amante, ma una metà di me, il sostegno della mia triste vita”, sussurra lui nel settembre del 1749, quando ormai è troppo tardi pure per canzonarla.