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 2020  settembre 30 Mercoledì calendario

235QQAFM13 Intervista allo scrittore Yu Hua

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Quando arriva, t-shirt nera, jeans e sneakers, l’iWatch al polso, i capelli un po’ ingrigiti, Yu Hua sembra stanco. Che questi lunghi mesi di lockdown abbiano provato anche lui? «La notte guardo tutte le partite della Nba in streaming», dice ridendo. «Vado a letto solo alle 7». Scopriamo così che uno dei più acclamati scrittori cinesi è un fanatico di sport, calcio, tennis e basket americano. «Ma questo è anche uno dei problemi per cui non riesco a finire il libro!». Grande risata. Ci avevano preannunciato che Yu Hua, 60 anni, sta dando gli ultimi ritocchi a un nuovo romanzo. L’attesa è grande, visto che l’autore dei capolavori Vivere! e Brothers , storie di persone comuni che si arrabattano in mezzo agli epocali sconvolgimenti della Cina, e di saggi ironici e taglienti come La Cina in dieci parole , censurati in patria, è lo scrittore che più di tutti sa leggere l’anima del Paese. Dove sta andando il Dragone di Xi Jinping? Nel nuovo libro la risposta non si troverà, o non direttamente, perché Yu Hua è andato indietro nel tempo, alle origini della Cina moderna: «La storia si svolge tra il 1900 e il 1920, attorno alla Rivoluzione Xinhai del 1911», spiega. Quella che portò all’abdicazione dell’ultimo imperatore Pu Yi e alla proclamazione della Repubblica.
Perché proprio quegli anni?
«Sono ossessionato da come le persone vivevano allora, ci sono storie che anche la Cina di oggi potrebbe apprezzare. Per esempio un personaggio del libro ha aperto una banca: erano le prime, raccoglievano i depositi di parenti e amici, e la convenzione era che in caso di bancarotta il proprietario dovesse vendere tutti i suoi beni per ripagarli. Queste sono virtù tradizionali che a quei tempi le persone comuni preservavano e che oggi si fatica a vedere».
La Cina ha perso i valori?
«Nella Cina di oggi, dopo 40 anni di sviluppo rapidissimo, trovi solo frodatori e truffatori. Credo che sia l’epoca delle riforme (di mercato, ndr) che ha fatto i danni maggiori ai retaggi del passato, da allora è l’interesse materiale a dominare».
L’epoca della Rivoluzione Xinhai e della Repubblica è quasi sparita dal discorso pubblico cinese, perché?
«Credo sia per quei due caratteri, ge ming, "rivoluzione": meglio non parlare di rivoluzioni, che siano vere rivoluzioni o controrivoluzioni. Dopo il 1911 per vent’anni la Cina è stata un caos, con continui cambi al vertice. È strano: quando la Cina è stata fuori controllo ha vissuto i periodi più liberali e democratici, quando è tornata sotto controllo democrazia e libertà non c’erano più».
Oggi, con Xi Jinping, vive un periodo di controllo ossessivo.
«Il vantaggio è la grande efficienza, il governo può guidare la società a svilupparsi nella direzione che vuole. La società civile è piena di energia, se le dai delle opportunità si sviluppa veloce».
Ma l’altra faccia di questa leadership sono l’autoritarismo, la crescente limitazione delle libertà, gli intellettuali arrestati, gli uiguri nei campi di rieducazione. Tutto questo la preoccupa?
«Ho visto la Rivoluzione culturale e le riforme, ogni situazione in Cina per me è accettabile e comprensibile. Quando il controllo viene allentato, diventa un caos, quando viene stretto, è troppo stretto: questa è un’eterna contraddizione della società cinese. Vivere qui a lungo ti fa abituare».
E il ruolo per uno scrittore qual è? C’è ancora sufficiente libertà?
«Gli scrittori devono essere i critici della realtà. Come romanziere non hai problemi, potesti averne se scrivi saggi».
Per un periodo è stato anche molto attivo sul web, con un blog. Ora ha smesso.
«Non ha nulla a che vedere con la censura. Lo avevo aperto perché la piattaforma mi aveva promesso che in cambio mi avrebbe invitato a grandi eventi sportivi. Dopo aver visto dal vivo la Coppa del Mondo, le Olimpiadi e l’Nba ho smesso».
Invidia la libertà di criticare il regime che hanno gli intellettuali cinesi all’estero, per esempio Ai Weiwei?
«Ai Weiwei è un grande artista, con coscienza e talento. Ma non invidio la sua condizione».
La Cina è riuscita a contenere con successo il coronavirus, mentre molti Paesi occidentali hanno grandi difficoltà. È una vittoria del suo sistema?
«Il governo cinese ha adottato le stesse misure applicate per la Sars nel 2003, solo più forti, il nostro sistema è adatto a questo tipo di controllo. E i cittadini cooperano perché danno importanza alla dimensione collettiva, come i giapponesi o i sudcoreani, mentre le società occidentali danno maggiore peso ai valori individuali».
Che cosa sta succedendo tra Cina e Stati Uniti?
«La possibilità di un conflitto, l’idea americana di contenere la Cina, esistono da molto tempo, la lotta al terrorismo e poi Obama ne hanno solo ritardato l’emersione. Con Trump si sta passando da una guerra commerciale a un confronto a tutto campo. Gli intellettuali cinesi ammirano ancora gli Stati Uniti, ma le persone comuni sempre meno, specie le nuove generazioni, perché hanno tutto ciò che possiedono gli americani e per certi aspetti anche di più».
Le voci nazionaliste crescono. Il Dragone si sente forte?
«Da giovani siamo stati educati all’idea che la Cina era il più forte Paese al mondo, ma dopo le riforme e l’apertura abbiamo realizzato di essere molto poveri: da allora abbiamo cominciato a imparare dall’Occidente. Ora la Cina è davvero più forte di 40 anni fa, ecco perché il nazionalismo cresce».
Le grandi contraddizioni, per esempio le enormi diseguaglianze, sono lo sfondo dei suoi romanzi.
«In Cina la sensazione è che queste enormi contraddizioni possono esplodere da un momento all’altro, ma nei fatti non è mai successo. Ci sono due ragioni. La prima è che le contraddizioni a volte si bilanciano e si moderano, il governo lascia anche che le frustrazioni si esprimano, finché restano su piccola scala. La seconda è lo sviluppo dell’economia. Finché continua, neanche la società avrà problemi».