30 settembre 2020
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Biografia di Vittorio Malacalza
Vittorio Malacalza, nato a Bobbio, in provincia di Piacenza, il 17 settembre 1937 (83 anni). Imprenditore. Industriale. Banchiere • L’uomo più ricco di Genova • «Tipico self made man» (Federico De Rosa, Corriere della Sera 13/6/2009) • «Ben visto dalla Curia e da Bagnasco» (Dagospia) • «Il vero signore della regione Liguria» (Ferruccio Sansa) • «Un patrimonio passato in (neanche) quarant’anni da un piccolo stabilimento sulle alture di Genova a (oltre) un miliardo di euro. Fino all’investimento più eclatante, quello in Carige. In un Paese dove molti imprenditori hanno pochi soldi e tanta voglia di jet set, il profilo dei Malacalza è l’opposto: liquidità enorme e luci della ribalta a quota zero virgola» (Giovanni Stringa, L’Economia, 5/2/2018) • Presidente della holding Malacalza Investimenti s.r.l (lui ne possiede il 4%, i suoi due figli, Mattia e Davide, il 48% ciascuno) • Già vicepresidente della Pirelli • Già consigliere d’amministrazione di Rcs e del San Raffaele • Già azionista di Unicredit • «Schivo, modesto, duro, sconosciuto ai più, con poca voglia di apparire e tanta di lavorare. Così viene dipinto» (Adelaide Pierucci, Lettera 43, 30/4/2011) • «Va tenuto d’occhio. Negli anni ha dimostrato di essere molto abile, molto rapido e anche di avere molto intuito» (Fabio Tamburini, Corriere della Sera 22/3/2015) • Ha detto: «È più utile conoscere i propri limiti che i propri pregi».
Titoli di testa «Quando cadde la Lehman Brothers, dieci anni fa, a Vicenza come a Genova, ad Arezzo come a Siena, si fecero grasse risate. Il sistema creditizio italiano è solido, sentenziarono gonfiando il petto e i valori delle loro attività, perché è ancorato alle sue radici locali, non specula in Borsa, non si pasce di turbofinanza, noi diamo i soldi alla gente che lavora. Poi le carte del domino hanno cominciato a cadere l’una sull’altra e il castello delle illusioni è stato travolto dalla valanga dei debiti che non verranno mai ripagati» (Stefano Cingolani, Il Foglio, 7/1/2019).
Vita Originario di Bobbio, paese della val Trebbia, sull’Appennino Tosco-emiliano • Figlio di Paolo, titolare di un’impresa stradale con 150 operai • Vittorio prende la maturità scientifica al liceo Cassini di Genova. Poi si iscrive alla facoltà di ingegneria. Nel 1960, quando ha ventitré anni, il padre muore, lui deve prendere le redini dell’azienda di famiglia e decide di lasciare l’università. «Nel 1961 con una 500 scassata e con 500 mila lire in tasca, attraversa la statale 45, scende nella città della Lanterna ed inizia la grande avventura che lo ha portato nel salotto buono dell’industria e della finanza genovese» (Libertà, 14/5/2006) • «L’inizio è legato all’attività commerciale di materiali per l’edilizia e poi di componenti per l’impiantistica industriale e civile. Ma la prima svolta arriva nel ’63, quando Vittorio Malacalza riprende l’attività di costruzioni, già intrapresa dal padre, diventando presto uno dei partner di fiducia di Autostrade» (Massimo Minella, Affari & Finanza, 22/6/2009) • «Passano così 20 anni, in cui nascono i due figli e la famiglia - tutta di origine piacentine, anche la moglie, Carmelina Bellocchio, è di Bobbio - si stabilisce definitivamente nel capoluogo ligure» (Stringa) • A metà anni Ottanta Vittorio comincia a diversificare. Rileva una partecipazione di minoranza nella Duferco, un colosso dell’acciaio, arriva a diventarne amministratore delegato, poi decide di mettersi in proprio • «A metà degli Anni 90 il suo gruppo era arrivato a fatturare più della Lucchini di Brescia, di cui diventerà socio nella Ferriera di Trieste e insieme al quale cercherà di scalare la Ilva, che però andrà al concorrente Emilio Riva» (De Rosa) • «Rileva e rilancia insieme ai figli le acciaierie Trametal e Spartan Uk, la prima a San Giorgio di Nogaro (Udine) e la seconda a Newcastle (nel Regno Unito). Poi ancora acquisizioni: nel 2001 è il turno della divisione Magneti di Ansaldo, azienda che cambia nome in Asg Superconductors e fornirà - per esempio - i magneti per il tunnel Lhc (l’acceleratore di particelle) del Cern» (Stringa) • Nel 2008, poco prima dello scoppio della crisi finanziaria, vende le sue aziende siderurgiche al magnate ucraino Rinat Achmetov, proprietario, tra le altre cose, dello Shaktar Donetsk. I dettagli della transazione non vengono mai rivelati, ma si dice abbia incassato almeno un miliardo di euro.
Pirelli Per impiegare tutti quei soldi, nel 2010 Vittorio decide di investire in Pirelli. Dopo i semiconduttori, la tecnologia d’avanguardia, e l’acciaio vuole entrare nella stanza dei bottoni degli pneumatici • Comincia come socio di Marco Tronchetti Provera, poi come alleato, a un certo punto sembra che possa arrivare a soffiargli tutta l’azienda, visto che arriva a detenere il 12,3% di Camfin e il 30,4% di Gpi, le due holding che controllano la società. In dissidio con Tronchetti, si dimette dalla carica di vicepresidente nel maggio del 2013 • «Il bilancio dell’operazione di Malacalza in Pirelli è sintetizzato da due numeri. L’investimento complessivo è stato finora di 140 milioni che oggi, dopo l’arrivo dei cinesi, sono più che triplicati, arrivando ad almeno 500 milioni. Quanto basta per rendere meno amaro il rimpianto di un sogno che non si è realizzato e che Vittorio Malacalza ricorda ogni volta che ne ha l’occasione: contribuire a dare un azionariato industriale stabile di matrice italiana alla Pirelli» (Tamburini).
San Raffaele Nel luglio 2011, quando l’ospedale, per via della disastrosa gestione finanziaria, rischia la bancarotta, la Santa Sede indica quattro consiglieri d’amministrazione per prendere il controllo della fondazione Monte Tabor, che controlla l’impero sanitario fondato da don Verzé. Lui è uno di loro. Gli altri sono il presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma Giuseppe Profiti, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il giurista Giovanni Maria Flick • Pronto a stanziare 250 milioni, in cordata con lo Ior, per aggiudicarsi l’ospedale, viene superato dall’imprenditore Giuseppe Rotelli, con il suo Gruppo San Donato, che ne offre 405.
Politica? Sempre stato bipartisan con Pd e Forza Italia. Più volte corteggiato dalla politica, ha sempre rifiutato. «Faccio un altro lavoro e non ho alcuna intenzione di cambiare» • Ha altro per la testa. La storica banca di Genova, la stessa che nel 1961 gli aveva concesso il primo prestito - 20 milioni di lire - è in crisi e lui pensa di comprarsela • I figli, Mattia e Davide, che mandano avanti le attività del gruppo, provano a dissuaderlo. «Temono le inevitabili pressioni della politica attraverso il mantenimento di un rapporto con la Fondazione. Ma è difficile opporsi a uno come Vittorio Malacalza quando si mette in testa una cosa» (Teodoro Chiarelli, La Stampa, 2/3/2015)
Carige Durante la battaglia con Tronchetti Provera per il controllo di Pirelli, Vittorio diceva agli amici che i giochetti di borsa e la finanza non facevano per lui: «Sono uomo di industria e di fabbriche. Mi piace vedere e toccare i prodotti: un rotolo d’acciaio, un magnete o una macchina diagnostica». Ora si lancia alla conquista della Cassa di risparmio di Genova, meglio conosciuta come Carige, uscita a pezzi da vent’anni di cattiva gestione • La storia è simile a quella della Banca popolare di Vicenza, di Banca Etruria, del Monte dei Paschi di Siena. «Dietro il territorio, o talvolta sopra, c’è un banchiere di riferimento o di sistema che dir si voglia, non un “imprenditore bancario” come avrebbe voluto Enrico Cuccia, ma un gestore abile, ambizioso, potente, che maneggia il credito per dare ai ricchi con la compiacenza dei poveri, il beneficio dei politici e la benedizione dei vescovi. Le caselle sono sempre uguali, cambiate i nomi e i volti, ma il risiko resta lo stesso […] La mala gestio che ha portato a condanne per truffa come quella che ha colpito l’ottantenne Giovanni Berneschi, padre padrone della Carige per un quarto di secolo, c’entra eccome, sia chiaro, ma a fare chiarezza non sono i magistrati, la lettura giudiziaria della crisi bancaria italiana racconta solo una parte della storia […] Non era la maggiore azienda creditizia genovese […] Non era la più grande e nemmeno la più importante, eppure, come la maggior parte delle casse di risparmio, divenne anche lei la stanza di compensazione dei poteri locali: la politica, la curia, il porto, i notabili di vario ordine e grado» (Stefano Cingolani, il Foglio, 7/1/2019) • Nel 2015, grazie al tesoretto accumulato dopo l’operazione Pirelli, Malacalza investe nella banca 263 milioni, e sale prima al 10,5%, poi al 17,59%. «Malacalza, che sebbene abbia stretto un patto sulla governance con quel che resta della stessa Fondazione (gli sfrattati restano quindi in un mezzanino...), punterà di sicuro a una maggiore efficienza della banca, per garantirsi un ritorno - economico e non politico - dei soldi che ha messo e metterà» (Francesco Manacorda, La Stampa, 2/3/2015) • Le cose però non vanno come previsto. Sono anni di salassi. Il bilancio 2016 presenta una perdita di 313,6 milioni e crediti deteriorati per 7,3 miliardi • «L’imprenditore genovese arriva al 27,5 per cento, apre il portafoglio, sconfessa un manager dopo l’altro (si cambia a un ritmo di uno l’anno), rimette in discussione i piani industriali, a cominciare dall’uscita dalle assicurazioni, infine […] fa saltare il banco rifiutando l’ultimo aumento di capitale proposto dal presidente Pietro Modiano e dal direttore generale Fabio Innocenzi. Vuole prima vedere il piano industriale, non intende emettere un assegno a vuoto dopo aver perso oltre 400 milioni» (Cingolani) • «A distanza di quattro anni Malacalza si ritrova a fare i conti con il fatto che tanto denaro non gli è mai bastato a fare completamente sua la banca. Anzi, l’investimento si è via via assottigliato di anno in anno, di ricapitalizzazione in ricapitalizzazione. Fino a quando, a dicembre 2018, ha esercitato l’unico vero primato conquistato in banca, dicendo stop all’ennesimo piano di salvataggio e ha così aperto la strada al commissariamento» (F. Capozzi, G. Scacciavillani, Fatto Quotidiano, 20/9/2019) • A gennaio 2019 la Banca viene commissariata dalla Banca centrale europea • Nel frattempo il governo Conte uno concede una garanzia pubblica di un miliardo sulle emissioni di obbligazioni. «Pantalone ha aperto l’ombrello» (Cingolani) • A gennaio 2020 c’è l’ennesimo aumento di capitale. La partecipazione di Malacalza ormai è diluita al 2%. Il 17 l’ormai ex padrone accusa i nuovi azionisti di «trasferimento forzoso di ricchezza» e chiede 482 milioni di euro di danni ai nuovi soci, Cassa Centrale e il Fondo interbancario, e alla stessa Carige. Scrive Dagospia: «Malacalza, Mala Tempora. Prima brucia un patrimonio, poi lo rivuole indietro» • «In buona sostanza, quello in Carige si sta rivelando per Malacalza il primo vero scivolone di una lunga e dorata carriera» (Andrea Montanari, Formiche.net, 8/6/2017).
Curiosità Ufficio al decimo piano del grattacielo di piazza Piccapietra • «Ai salotti ha sempre preferito le partite a scopone al ristorante Europa di galleria Mazzini» (Minella) • Ha quattro nipoti • Gli piace cenare in famiglia • Sua moglie è cugina del regista Marco Bellocchio • Appena può torna a Bobbio, nella sua val Trebbia • Alla fine la laurea in ingegneria l’università di Genova gliel’ha data honoris causa • La sua barca a vela si chiama «Maidomo» • Gioca a tennis e detesta perdere.
Titoli di coda «La Carige è una banca dall’impatto sistemico? No, lo ammettono gli stessi commissari che stanno gestendo la sua crisi. Lo era la Banca dell’Etruria? O le altre banchette del Centro Italia? Lo erano la Banca Popolare di Vicenza o Veneto Banca? No, nessuna di loro. Eppure il sistema Italia, diciamo così, dai risparmiatori ai contribuenti, ha gettato fior di miliardi nel tentativo di salvarle» (Cingolani).