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 2020  settembre 30 Mercoledì calendario

Biografia di Alighiero Tondi

Cambiare idea può anche essere un segno d’intelligenza, sostengono in molti, compreso Einstein. Se l’affermazione è vera, Alighiero Tondi, gesuita e professore della Pontificia Università Gregoriana, doveva essere un uomo intelligentissimo. Le sue conversioni a 180 gradi, in un girotondo che lo portò dalla Compagnia di Gesù, nel 1952, al Partito Comunista, salvo poi reindossare gli abiti talari nel 1980, dunque circa trent’anni dopo, ne fanno un caso quasi unico. Tanto più se si pensa che Tondi era nato a Roma nel 1908 da genitori socialisti che non lo avevano nemmeno battezzato.
Una storia che tanto si presterebbe a una riduzione cine-televisiva, ma che è stata dimenticata, forse per via dell’imbarazzo che aveva suscitato negli esponenti di spicco degli schieramenti ecclesiastici e politici di quegli anni. La ricostruzione che ne dà oggi lo storico Matteo Manfredini, nel saggio biografico Il gesuita comunista (Rubbettino, pagg. 244, euro 15) è straordinaria, non fosse che per la ricchezza della documentazione, tirata fuori da archivi pubblici e privati (non da quello del Vaticano, però, dove sono ancora secretati) e sulla base di colloqui diretti, e che ci fornisce l’immagine di una personalità ambigua, multiforme, tormentata. In altre parole: inquietante.
Alighiero Tondi era laureato in Architettura, pittore di talento, filosofo, teologo e insegnante carismatico. Ma il 21 aprile 1952 sgattaiolò dall’edificio dell’università con le sue quattro cose in una valigia e, a parte una brusca telefonata al rettore («Non torno più, non mi cercate»), non si fece più vedere fino a quando non fu rintracciato, tre giorni più tardi, a casa di un’amica. Il 25 aprile, attraverso un’intervista al giornale Il Paese, Tondi annunciava la sua fuoriuscita dalla Chiesa e il passaggio al Partito comunista. Lo scandalo fu grande e le cronache dell’epoca ne mantengono traccia. Che cosa diavolo era passato per la testa del gesuita? Lui parlava di ipocrisia, di scarsa umanità, di poca attenzione alle questioni sociali, insomma dell’indifferenza della Compagnia, e del Vaticano tutto, per la sorte degli umili. Senza parlare del fatto che Dio non esisteva, era un’invenzione dell’uomo a scopo consolatorio o manipolatorio. Insomma, l’unica verità scientifica era nel materialismo, nel comunismo. Il prete era diventato marxista. Nel generale imbarazzo del Vaticano, che reagì con la scomunica per apostasia, le reazioni furono fra le più varie: chi diceva che sotto ci fosse una donna, come un amico che scrisse «tira più un capello di una donna che cento villeggiature nel palazzo dei Gesuiti».
Ma se non è impossibile che di mezzo ci fosse anche qualche passione carnale, di fatto il Pci di Togliatti, soprattutto nella figura di Ambrogio Donini, un uomo di fiducia del Migliore, sfruttò la situazione usando Tondi come megafono di propaganda in innumerevoli e affollatissimi comizi in tutta Italia. La popolarità di quest’uomo crebbe, così come il suo autocompiacimento. Sposò addirittura una militante di Reggio Emilia, Carmen Zanti, in seguito eletta deputata e senatrice. Un grande amore, fra l’altro; alla morte di lei, nel 1979, Tondi cadde in una grave depressione da cui non si riebbe più. Il ruolo che l’ex prete aveva ricoperto nella carriera ecclesiastica era stato delicato, perciò le sue rivelazioni furono pesanti. Aveva fatto da trait-d’union tra gli ambienti della Chiesa e i neofascisti, tra le Acli di Luigi Gedda e gli ex repubblichini che avrebbero volentieri fatto le scarpe alla Dc di De Gasperi. Di fatto, Tondi era stato una spia al servizio del Pci. Ma solo per farsi accettare da quest’ultimo, e in nome di una tendenza idealistica che non trovava più spazio nella sua appartenenza alla Chiesa.
Una volta uscito allo scoperto e fatta la sua parte di entusiasta convertito, lo spretato fu però abbandonato al suo destino, o quasi. Spedito in Germania Est come cattedratico, gli ci volle del bello e del buono per tornare in Italia, una volta che si fu reso conto del disastro conseguito all’applicazione del sistema sovietico. E quando rimise piede nel nostro Paese, non lo voleva più nessuno. Era un peso per tutti, meglio dimenticare l’intera faccenda. Finì nel cono d’ombra, a correggere bozze in uno scantinato di una sezione emiliana del Pci.
E qui, a poco a poco, maturò la seconda spettacolare giravolta. Riprese i contatti con uomini di fede, si rimise a pregare, a desiderare di dire di nuovo messa: voleva tornare a rivestire gli abiti talari. Cosa che, dopo le opportune e martellanti richieste di perdono, infine ottenne. Aveva fatto tutto il giro. Il più noto apostata del secolo celebrava di nuovo in pubblico l’Eucaristia. Il fervido sostenitore dell’idea comunista come unica realizzazione della fratellanza universale, l’anticipatore di molte altre vocazioni buttate alla ortiche (una tendenza che stava diventando una moda), passò gli ultimi anni della sua vita in un grigio e malinconico isolamento, borbottando il Rosario per strada fra i parrocchiani che lo guardavano come un innocuo rimbambito.
Solo dopo la sua morte il Vaticano seppe che era stato una spia e che con lo pseudonimo di Tonaca Bianca aveva esportato grandi quantità d’informazioni anche cruciali fuori dalle mura di San Pietro. Quell’uomo conosceva gli elenchi degli affiliati ai Fasci d’azione rivoluzionaria, si intratteneva con il generale Rodolfo Graziani, rovistava fra le carte degli alti prelati. Eppure non ne ebbe alcun tornaconto, né in termini di denaro, né di potere. Morì come un poveraccio, ma avendo speso la vita a modo suo per un ideale di giustizia universale. Compì la memorabile impresa di riuscire scomodo a tutti.