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 2020  settembre 30 Mercoledì calendario

Sull’accordo commerciale con gli Stati Uniti, Boris Johnson si illude

Uno dei numerosi aspetti positivi di Brexit, secondo Boris Johnson, è la possibilità di stringere un accordo commerciale con Washington. Appena sarà libera dal giogo di Bruxelles, così promette il premier, la Gran Bretagna potrà finalmente coronare la “special relationship” storica e politica che da secoli la lega agli Stati Uniti con una vantaggiosa intesa economica.
Il presidente Donald Trump ha incoraggiato questa aspettativa, minimizzando come il suo alleato Johnson le molte complessità dei negoziati e promettendo un accordo “facile” e in tempi brevissimi con Londra. Prospettiva che è sempre stata poco realistica, ma che ora si è fatta decisamente più remota.
Il motivo è la decisione del Governo di riscrivere alcune clausole del protocollo sull’Irlanda del Nord, la parte dell’accordo di recesso dalla Ue che mira a preservare gli accordi di pace del Venerdì Santo evitando il ritorno a una frontiera tra le due Irlande.
Johnson probabilmente non si attendeva una reazione così negativa da parte non solo dell’opposizione ma di molti notabili del suo stesso partito conservatore, che lo hanno accusato di mettere a repentaglio la reputazione della Gran Bretagna violando un trattato internazionale già concordato e sottoscritto.
Ancora più inaspettata per il premier l’aspra reazione degli Stati Uniti. Il candidato democratico alla presidenza, Joe Biden, ha dichiarato che «non possiamo permettere che gli accordi che hanno portato la pace in Irlanda del Nord diventino una vittima di Brexit, quindi qualsiasi accordo commerciale tra gli Usa e la Gran Bretagna dipenderà dal rispetto dell’accordo di recesso senza ritorno a un confine. Punto».
Cosa ben più grave per Johnson, le critiche sono arrivate anche dall’amministrazione Trump. L’inviato speciale del presidente per l’Irlanda del Nord, Mick Mulvaney, ha detto che la Casa Bianca, il dipartimento di Stato e il Congresso sono «del tutto allineati nel desiderio di vedere preservati gli accordi del Venerdì Santo e di non tornare a un confine interno, magari per sbaglio».
Johnson sembra non avere tenuto in considerazione l’importanza che ha l’Irlanda per gli americani e l’influenza della potente e bipartisan lobby irlandese al Congresso. Eppure i segnali erano chiari: Brexit aveva risvegliato l’interesse degli Usa per le vicende dell’Irlanda del Nord, sonnacchioso dopo vent’anni di pace.
Nel novembre 2019 il Congresso aveva votato all’unanimità una risoluzione bipartisan che ribadiva il sostegno per gli accordi del Venerdì Santo. Nel marzo di quest’anno poi Trump, a sorpresa, aveva nominato Mulvaney, il suo ex chief of staff, inviato speciale in Irlanda del Nord, incarico vacante da tre anni.
Per gli Usa è quasi una questione personale. La speaker Nancy Pelosi ha dichiarato che la pace in Irlanda è «un successo del quale tutti gli americani sono orgogliosi e sarà tenacemente difesa dal Congresso».
Il presidente Bill Clinton e il senatore George Mitchell erano stati i registi degli accordi del Venerdì Santo siglati nell’ottobre 1998 che hanno messo fine a trent’anni di “Troubles”, violenze settarie e conflitto tra i repubblicani cattolici e gli unionisti protestanti. Gli Usa sono tuttora garanti degli accordi di pace, che escludono il ritorno a un confine interno che riaccenderebbe le tensioni tra antichi nemici. L’eliminazione del contestato confine e quindi la pace era stata resa possibile dall’appartenenza dei due Paesi a un’unica entità sovranazionale. L’uscita della Gran Bretagna dalla Ue rischia di scardinare tutto.
La via verso la pace era stata lunga e difficile e l’interesse americano per l’Irlanda del Nord aveva spesso causato tensioni tra Londra e Washington. Nel 1994 la decisione di Clinton di concedere un visto a Gerry Adams, ex leader del Sinn Féin, ai tempi braccio politico dell’Ira, nonché membro dello stesso Esercito repubblicano irlandese, considerato un terrorista da Londra, aveva fatto infuriare l’allora premier britannico John Major. L’Ira aveva poi dichiarato il cessate il fuoco e l’anno dopo Clinton aveva ostentatamente ricevuto Adams alla Casa Bianca il giorno di San Patrizio, santo patrono dell’Irlanda.
Per scoprire le radici di questi stretti rapporti bisogna andare indietro secoli. L’Inghilterra, potenza coloniale, aveva mandato navi cariche di soldati oltre l’Atlantico. L’Irlanda invece ha spedito ondate di emigranti alla ricerca di lavoro. Oltre 5 milioni di immigrati sono arrivati tra il 1770 e il 1930, con un picco durante la terribile carestia delle patate a metà Ottocento.
Gli irlandesi hanno letteralmente costruito l’America, lavorando nelle miniere e nelle fabbriche, facendo strade e ponti e innalzando i grattacieli di Manhattan.
«La storia dell’America è intessuta con un filo verde smeraldo», ha dichiarato poeticamente la Pelosi. È vero: 33 milioni di americani, il 10,5% della popolazione, hanno discendenti irlandesi, un numero sette volte superiore alla popolazione attuale della “Emerald Isle” e il doppio degli americani di origine italiana.
Erano di origine irlandese quattro dei padri fondatori della patria e nove dei firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, tre dei quali erano nati sull’isola. Da allora diversi presidenti, da Kennedy a Reagan, hanno vantato le loro radici irlandesi. Lo stesso Biden è orgoglioso delle sue origini e nei suoi discorsi cita spesso i poeti d’Irlanda, da William Butler Yeats a Seamus Heaney.
I legami culturali sono forti quanto quelli politici. La festa di San Patrizio è un evento celebrato con più fanfara in America che sull’isola. Ogni anno il 17 marzo due milioni di persone partecipano alla parata a New York, mentre a Chicago l’acqua dell’omonimo fiume viene tinta di verde smeraldo.
Eamon de Valera, l’eroe dell’indipendenza irlandese poi diventato premier e presidente della Repubblica, era nato a New York e fu grazie alla sua cittadinanza americana che evitò la fucilazione dopo la rivolta di Pasqua contro gli inglesi nel 1916. C’è sempre stato un via vai di politici in entrambe le direzioni, che nei decenni hanno stretto una fitta rete di rapporti.
A Washington il caucus Amici dell’Irlanda ha decine di membri sia repubblicani che democratici alla Camera e al Senato. Il gruppo è ora guidato da Richard Neal, che è stato il primo a criticare senza mezzi termini la mossa di Johnson. Neal presiede anche il Ways and Means Committee della Camera, che ha il potere di bloccare qualsiasi accordo commerciale.
Johnson potrebbe scoprire a sue spese che la vera “special relationship” degli Stati Uniti non è con la Gran Bretagna ma con l’Irlanda.