Corriere della Sera, 28 settembre 2020
Su "Italiani e no. Dagli albanesi ai ’taxi del mare’. Storia di un Paese a galla su trent’anni di paure" di Goffredo Buccini (Solferino)
«Si muore a mare e si litiga a terra». Non si può certo dire che queste parole di Goffredo Buccini arrivino all’improvviso o che sorprendano, visto che si trovano a metà di un libro, Italiani e no (Solferino), che ripercorre in modo serio e documentato, e al tempo stesso partecipe e appassionato, il grande tema delle migrazioni e delle loro conseguenze sulla vita e sul futuro del nostro Paese.
E però sono parole che colpiscono, che sono pesanti come pietre. Perché mettono in evidenza un dramma nel dramma, perché sottolineano come alla tragedia delle vittime, della sofferenza, della disperazione che spinge enormi masse umane — insieme di singoli individui, ognuno con il suo carico di dolore e di speranze — a mettersi in viaggio per cercare di cambiare il proprio destino, si affianchi troppo spesso e da troppo tempo l’impotenza o l’inadeguatezza delle istituzioni, della politica, di chi avrebbe la responsabilità e la possibilità di prendere decisioni in grado, se non di cambiare radicalmente, di migliorare lo stato delle cose. E invece si è litigato e si litiga, procedendo di emergenza in emergenza, alimentando una spirale, osserva Buccini, «servita solo a nutrire la politica peggiore», in un crescendo di paure da una parte e di convenienze dall’altra.
Ci sono almeno trent’anni — e non mancano riferimenti precedenti — di una parte importante della nostra storia, in queste pagine. Iniziando dall’approdo a Bari della nave Vlora, con il suo carico di ventimila anime partite dalle coste albanesi, nell’estate del 1991, quando gli italiani divennero improvvisamente consapevoli di vivere in un Paese di immigrazione. Senza dimenticare Jerry Masslo, il «migrante zero» arrivato dal Sudafrica e ucciso due anni prima, sempre ad agosto, a Villa Literno, «con un agguato in stile Ku Klux Klan» che se non altro fece «da molla» alla successiva «legge Martelli», la prima a prendere atto del fenomeno della presenza stabile di immigrati e a porsi, pur con i suoi limiti, il problema di una loro integrazione nel nostro tessuto nazionale.
Sempre a proposito di archi temporali, e di vicende che si ripropongono talmente simili da far temere che certe cose siano destinate a non cambiare mai, colpiscono anche i vent’anni trascorsi dal 1999, dalla morte nella stiva di un aereo partito dalla Guinea Conakry con destinazione Bruxelles di Yaguine e Fodé, di quattordici e quindici anni, la stessa fine cui è andato incontro a gennaio di quest’anno Laurent, trovato assiderato nel vano carrello dell’Air France 703 da poco atterrato a Parigi e proveniente da Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio.
Ieri come oggi è l’Africa, a rappresentare il nodo più intricato e complesso. Se il tema immigrazione è un prisma con molte facce, Buccini ha la grande capacità di osservarle tutte, di descriverle una per una senza mai perdere di vista l’aspetto complessivo, di spiegare di volta in volta come a pesare di più, a seconda del momento storico, possa essere stato l’allargamento a Est dell’Unione Europea o il caos della Libia dopo la caduta di Gheddafi, lo spartiacque rappresentato dalla crisi finanziaria e poi economica e sociale iniziata nel 2008 o appunto l’esplosione demografica dell’Africa, che oggi rappresenta «la vera bomba sul nostro uscio».
Il problema è che, in presenza di una bomba, buon senso e lungimiranza vorrebbero ci si impegnasse tutti, magari con soluzioni diverse, a trovare il modo di disinnescarla, prima che rischi di esplodere. E invece sulla scena politica ci sono imprenditori della paura che trovano molto più conveniente soffiare sul fuoco, con quelli che vengono qui definiti «pareri usa e getta» e con proclami roboanti che servono solo a cercare facili consensi. Nessun timore, in queste pagine, nell’indicare i campioni del sovranismo-populismo di casa nostra e i loro limiti, a cominciare dal «trucco» dei porti chiusi del precedente ministro dell’Interno e dai decreti chiamati «sicurezza» che tutto hanno fatto tranne che garantirla, producendo solo ingiustizia e ulteriori falle in un sistema che già faticava a funzionare. Così come peraltro non vengono fatti sconti rispetto alle mancanze di una sinistra che rischia di non comprendere davvero le paure delle persone e che ritiene compromessi «oltre i limiti del tradimento» coloro che nel suo stesso campo cercano strade percorribili.
Strade che ci sono, unendo — scrive Buccini, vedendo in questo approccio, «laico», l’unico possibile — solidarietà e sicurezza, umanità e rigore, perché «si tratta di integrare chi può stare tra noi, ma anche di reprimere l’irregolarità di chi non può», facendo particolare attenzione a «soppesare le esigenze del nostro mondo del lavoro, tarando su di esse efficaci decreti flussi, e collegando in modo stabile permessi di lavoro e permessi di soggiorno». E soprattutto, si tratta di far accettare a tutti, fino in fondo, il fatto che questa è una sfida europea, che non si potrà non solo sperare di vincere, ma anche semplicemente affrontare, senza una condivisione reale, senza strumenti adeguati, iniziando col superare — come si è anche recentemente impegnata a fare la presidente Ursula von der Leyen — il Trattato di Dublino e col far funzionare davvero un modello bilaterale di Global skill partnership, creando cioè un ponte paritario di collaborazione tra Paesi d’origine e Paesi d’arrivo delle migrazioni, per poi giungere, infine, ad una comune politica estera e anche di difesa.
Per concludere riprendendo i due scenari, i due piani iniziali, è vero: servono «più inclusione e più severità in terraferma» e al tempo stesso «più umanità e più competenza in mare». L’umanità e la competenza che Buccini descrive con emozionante maestria — sembra di ascoltare Davide Enia, con il suo bellissimo monologo teatrale L’abisso, dedicato ai migranti e agli sbarchi a Lampedusa — nel capitolo «Quelli della Sit Down», che racconta il fantastico lavoro che fanno gli uomini della nostra guardia costiera durante le operazioni di salvataggio.
Perché parlare alla «pancia» e alimentare le paure è gravemente sbagliato. Perché serve invece la testa, così da individuare soluzioni giuste e realistiche. Ma è vero anche, come scrive Buccini, che di fronte a questa sfida complessa e decisiva per il nostro futuro, «cervello e cuore, usati insieme, possono fare di più».