il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2020
Le donne che odiano le donne contro i club per soli uomini
Le femministe o postfemministe o veterofemministe, cioè tutto quel vasto mondo di donne che odiano le altre donne, non il maschio, perché concorrenti potenziali, sembrano aver perso ogni limite nel loro estremismo ideologico. Al grido sessantottino “è vietato vietare” stanno in realtà vietando tutto. Così Emily Bendell, imprenditrice dell’“intimo”, termine già di per sé orribile perché ipocrita, vuole portare in tribunale il mitico Garrick Club, una di quelle associazioni che escludono la presenza delle donne e fanno parte della tradizione degli inglesi (il Garrick esiste dal 1831, ma il più aristocratico di tutti il White’s affonda le sue radici alla fine del Seicento) che alle tradizioni sono particolarmente legati, non per nulla hanno una Regina amatissima che fa benissimo il suo mestiere e Wimbledon è rimasto l’unico torneo di tennis che si gioca ancora sull’erba.
Se io costituisco un club privato avrò pure il diritto di farci entrare o di non farci entrare chi mi pare e piace? Gli uomini, anche quando amano le donne, preferiscono la compagnia degli uomini. Quando usciamo più o meno di nascosto di casa, molte nostre mogli o compagne o fidanzate pensano che andiamo a tradirle, il che può anche essere per alcuni fanatici (stare con una donna è già complicato, figuriamoci con due), ma in genere cerchiamo di sfuggire al loro controllo, andando giù al bar a giocare a scopone con gli amici, là dove i bar esistono ancora, o a bocce o a vedere una partita di calcio, situazioni in cui tradizionalmente le donne non ci sono o se ci sono, com’è nel calcio pervertito di oggi, hanno una presenza marginale. Ammettere la donna in un club per soli uomini vorrebbe dire l’irruzione dell’eterno gioco della seduzione cui a noi, già sollecitati da ogni parte, nella pubblicità, in tv, in strada, dalla figura femminile, piace almeno per un po’ sfuggire. Inoltre, viste le continue accuse di molestie, a volte vere a volte presunte, con minacce di galera o, quel che è peggio, di garrota mediatica, in un club di soli uomini sarebbero al sicuro per il lapalissiano motivo che non ci sono. Così le donne rischiano di rimanere vittime del puritanesimo di marca yankee che è stato introdotto in Europa dal #MeToo. Ma a chi mai può venir la voglia di corteggiarle se basta un’occhiata un po’ insistente o un popolano fischio di ammirazione (anche se di questi fischi con le due dita in bocca che fan parte pur essi della tradizione maschile – chi ha mai visto una donna fischiare in questo modo? – si sta ormai perdendo traccia, li usava finché è stato allenatore Giovanni Trapattoni) per essere accusati di “molestia sessuale” con tutto ciò che ne consegue?
Le donne rischiano di essere vittime del loro stesso puritanesimo che è sessista nel momento stesso in cui predica il contrario. Agli inizi di settembre, a una donna un po’ scollata è stato proibito di entrare, da parte di una funzionaria, al Museo d’Orsay in base al regolamento interno che recita: “Gli utenti devono conservare una tenuta decente e un comportamento conforme all’ordine pubblico e devono rispettare la tranquillità degli altri utenti”. E questo accade a Parigi, capitale un tempo gioiosa, giocosa, trasgressiva, non solo all’epoca esistenzialista, di cui oggi si ricorda l’epopea per la morte di Juliette Gréco che ne fu l’icona musicale, ma ben prima, negli anni 30, quando il pittore Foujita entrava al Dôme o alla Coupole tenendo in spalla una gabbia con dentro una donna nuda. Non c’era nulla di perverso o pervertito, c’era solo una voglia di gioco che noi, intrappolati in lezioncine moralistiche, sembriamo aver perduto. Del resto qualche giorno prima dell’episodio del d’Orsay due bagnanti in topless erano state multate dalla Gendarmerie perché sulla spiaggia di Pérpignan prendevano il sole a seno nudo. E in alcuni comuni d’Italia, in modo altrettanto illegittimo e moralistico, con la scusa che intralciano il traffico, si multano i clienti delle prostitute ufficiali. Quelle non ufficiali fanno carriera in politica.