Affari&Finanza, 28 settembre 2020
Viaggio nella fabbrica dei robot per le consegne
Il coronavirus ci ha dato una spinta incredibile, prima avevamo qualche dozzina di ordini, ora sono oltre mille”. Nel capannone di Pix Moving, dentro a un parco tecnologico alla periferia di Guiyang, capoluogo del Guizhou, si lavora a pienissimo regime. Un braccio robot, uno strato dopo l’altro, stampa l’ennesimo “chassis”, il telaio di metallo che fa da base ai veicoli a guida autonoma di questa startup cinese. Non sono mezzi per trasportare persone, o non in primo luogo, spiega in un ottimo inglese il vice presidente Sean Zhu. I veicoli di Pix, che i cliente adattano montandoci sopra dei “pod”, delle capsule multi funzione, sono pensati per rendere mobili, “a domicilio”, una serie di attività commerciali: ristorantini su quattro ruote, che si spostano davanti alla porta di casa o dell’ufficio, oppure armadietti per le consegne. “Al momento lavoriamo soprattutto con le aziende del delivery”, dice Zhu. La Cina ha diverse aree chiuse come campus universitari, compound residenziali o parchi industriali ed è lì dentro, complici le restrizioni ai contatti imposte durante la pandemia, che si sta sperimentando la consegna automatizzata. Robot terrestri come quelli di Pix o della pechinese Neolix, ma anche droni volanti raggiungono sicuri il destinatario, che ritira il suo pacco aprendo lo sportellino con un codice. E i fattorini in carne e ossa che fine fanno? “Non distruggiamo troppo lavoro – si difende Zhu – alla lunga rendiamo le città più efficienti e questo produrrà nuova occupazione”.
Le prospettive per i fattorini
Sarà, ma come sempre in ogni grande transizione tecnologica i lavori che si creano, ingegneri e programmatori, sono molto diversi da quelli che spariscono, per lo più manuali e a basso livello di competenze. E per gli almeno 7 milioni di addetti cinesi al delivery, l’esercito di fattorini a cavallo di motorino che soddisfano l’insaziabile domanda di consegne a domicilio del Dragone, pasti e pacchi, le prospettive non sembrano rosee. Già il presente non è semplice: una serie di inchieste uscite nelle ultime settimane hanno rivelato le tremende condizioni di lavoro a cui sono sottoposti questi proletariati dell’economia digitale, schiavi di algoritmi che promettono recapito in 30 minuti, costretti a rischiare l’osso del collo, senza assicurazione, per mettere insieme le decine di consegne necessarie a raggiungere uno stipendio da fame. Sull’onda dell’indignazione popolare, i due colossi del settore, Meituan e Ele.me (gruppo Alibaba), hanno annunciato delle modifiche ai loro codici che garantiranno un po’ più di respiro e sicurezza ai fattorini. Nel lungo periodo però l’orizzonte resta inquietante, perché la strategia immaginata dai big digitali è radicale. Rimpiazzare i fattorini umani con robot, a cui appaltare l’"ultimo miglio” della logistica. Sarà un caso, ma qualche giorno fa Xia Huaxia, capo dell’intelligenza artificiale di Meituan, 30 milioni di ordini al giorno, ha detto che entro tre, massimo cinque anni, le consegne senza pilota, su strada o via drone, saranno disponibili “in maniera diffusa” in Cina. Al momento la società le sta testando nel distretto pechinese di Shunyi, città giardino per riccastri, confermando che le aree recintate, di cui il Dragone abbonda, sono un campo di prova ideale per i mezzi senza pilota. A tendere, il regime realizzerà un numero sempre maggiore di queste comunità chiuse, dove ordine e sicurezza, le sue ossessioni, saranno più facili da garantire. Intere città come la nuova metropoli amministrativa di Xiong’an, in costruzione a Sud di Pechino, vengono progettate per soli mezzi a guida autonoma, pubblici e privati. Lì merci e pietanze viaggeranno (voleranno?) dirette dal produttore al consumatore e i fattorini non dovrebbero servire, nonostante le rassicurazioni di Xia secondo cui “i droni non li sostituiranno, ma li aiuteranno”. JD.com, numero due dell’e-commerce, lavora ai robot logistici addirittura dal 2016, ma nei giorni scorsi anche il numero uno indiscusso Alibaba ha presentato il suo, nome in codice Xiaomanlv, un quattro ruote molto simile a quelle di Pix, capace di 500 consegne al giorno. Una bella svolta per l’"ultimo miglio”, la parte più costosa e inefficiente di un’industria che presto in Cina dovrebbe superare l’astronomica cifra di un miliardo di pacchi al giorno. Che questo passaggio alla guida (e alla consegna) senza uomini possa avvenire prima in Cina lo sostengono anche i ragazzi di Pix. E non li si può certo accusare di nazionalismo, visto che hanno anche un ufficio in Silicon Valley. All’inizio ritenevano che il loro primo mercato sarebbe stata l’America, racconta Zhu, ma ora è evidente come Pechino stia investendo su queste nuove infrastrutture con una decisione maggiore: “Qui il governo ha un grande potere e quando identifica una priorità gli ostacoli normativi vengono abbattuti. Inoltre sembra essersi reso conto che l’attuale modello di sviluppo delle città ha raggiunto il un limite di efficienza”. Metropoli da milioni di abitanti, che con la motorizzazione del Paese si sono intasate, vanno rese più smart. Durante la pandemia molte province hanno varato incentivi fino al 60% per l’acquisto di mezzi senza pilota, da usare per consegne senza contatto di medicine o cibo e molti ritengono che non si tornerà indietro.
Nuovi stabilimenti e nuova visione
Il governo del Guizhou, una delle province più povere di Cina, che punta molto sull’industria digitale per recuperare, ha messo a disposizione di Pix un nuovo stabilimento molto più grande, dove la startup potrà aumentare la produzione a 500 pezzi l’anno. Portando avanti la sua visione: “Non saranno più le persone a muoversi per avere accesso ai servizi – spiega Zhu – ma lo spazio della città a riconfigurarsi intorno alle persone per soddisfarne le domande”.