il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2020
Intervista a Francesco Giavazzi
E gli ingegneri?
«Già, gli ingegneri. La pubblica amministrazione è zeppa di giuristi, ma nessuno che sappia progettare. E senza un progetto che raccolga le idee (ammesso che siano buone) e le trasformi in opere, cosa ne facciamo dei soldi?».
Si chiama Next generation eu. È un piano per i giovani affidato nelle mani di chi è in età di pensione. Non è una bizzarria della nostra cultura, del nostro tempo, professor Francesco Giavazzi?
«È la contraddizione di noi padri. Immaginiamo ogni bene per i nostri figli, siamo disposti a impegnare ogni risorsa per farli studiare, magari pagargli l’affitto senza limite di tempo. Ma non pensiamo che, più dell’affitto, loro hanno bisogno di un futuro. E il futuro ce l’avranno se noi padri lo libereremo dalla nostra presenza ingombrante. Siamo colpevoli di tutelare una rendita di posizione, la nostra, ma inconsapevoli che essa nuoce proprio ai nostri figli».
I soldi ci sono, ma manca il capitale umano.
«Sui soldi le dirò tra un attimo. Sul capitale umano invece non sono d’accordo: esiste, è formidabile, ma non è coinvolto. La miriade di piccole aziende che producono ed esportano fino a far lievitare la nostra bilancia dei pagamenti con un surplus di cinquanta miliardi di euro l’anno (questa la cifra nell’età pre Covid) sono l’esempio dei talenti. E i giovani che arrivano alla mia Bocconi, il sessanta per cento dei quali dal sud, sono energie vitali dal valore assoluto. Però la grande pancia dello Stato non li riconosce. Al ministero del Tesoro, alla Ragioneria generale, abbiamo fior di giuristi. Ma un giurista sa scrivere un bando di gara, non sa rendere un progetto. E questo è una costante. Ovunque purtroppo è così».
Il Paese dei buoni padri di famiglia che mettono però alla porta i propri figli.
«Curioso, vero? Non rinunciamo alla nostra rendita di posizione. E questo succede nel settore pubblico come in quello privato. Tante aziende non crescono perché paralizzate da imprenditori bravissimi ma ormai troppo anziani che non capiscono di dover lasciare».
La teoria dell’eccellenza va a farsi friggere.
«La stupirò, ma sul tema devo fare autocritica. La pandemia ci ha fatto scoprire che l’eccellenza ospedaliera, senza una buona e capillare medicina territoriale, viene travolta. Non di soli eccellenti infettivologi e anestesisti abbiamo bisogno. Ma anche di medici bravini. Se ne avessimo avuti un po’ di più negli ambulatori la mia Bergamo non sarebbe collassata».
I soldi in arrivo sono tanti. Ma lei col capo fa il segno di no.
«Arriverà di sicuro il dieci per cento di quanto promesso. Il resto delle fatture l’Europa ce le pagherà se i nostri progetti saranno coerenti con il disegno comunitario. E qui casca l’asino».
Faremo cilecca?
«Temo di sì. So che il governo ha chiesto a Leonardo, Enel, Eni di approntare proposte nella direzione voluta da Bruxelles. Sono grandi aziende e certamente faranno bene. Ma non tutto sarà nelle loro mani».
Tanto finirà nelle mani dei burocrati.
«E se sarà così andremo a sbattere».
Lei dove li metterebbe questi quattrini?
«Nella scuola».
Tutto nella scuola?
«Tutto. Il potere è nella conoscenza, il sapere allargato produce ricchezza di idee. La ricchezza produce crescita e la crescita posti di lavoro».
Vuoi divenire ricco? Studia.
«Vuoi crescere? Studia».
Siamo però ancora la terra dei figli di papà.
«Anche se abbiamo osservato che troppi papà, persino quando c’è in gioco il futuro dei propri figli, fanno ostruzione».
È l’interdizione perpetua.
«È un modo di concepire la vita che altrove non esiste».
Negli ospedali si è appena concluso un primo reclutamento straordinario di trentamila tra medici e infermieri. Perché non ripeterlo nella pubblica amministrazione?
«Perché la pressione dell’opinione pubblica sulla qualità della sanità pubblica è alta, mentre l’attenzione sul resto è diradata, ancora approssimativa».
Non ce la potremo fare.
«Tranquilli, continuando così i guai – anche grossi – sono assicurati».