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 2020  settembre 26 Sabato calendario

1893, il conte Rossi siede al volante

Sognavamo le auto volanti per decollare con la fantasia e liberarci (sul serio) del traffico. Sono rimaste nei romanzi di Philip K. Dick e nelle sequenze di Blade Runner: la fantascienza ha anticipato tante cose, ma non ha capito che sarebbero arrivate prima le macchine capaci di guidare da sole di quelle con le ali. E chissà che effetto ci faranno in futuro colonne di vetture-robot procedere ben distanziate su autostrade «autonome» (in diverse parti del mondo già esistono), nel silenzio di un dialogo muto fra i sensori e il fischio del motore elettrico. Magari sarà un ritorno alle origini, all’esaltazione della meraviglia tecnica: non proprio come quei contadini veneti increduli davanti al conte Gaetano Rossi che sfrecciava (si fa per dire, andava a 15 chilometri all’ora) su una Peugeot Tipo 3 per andare al lanificio.
Era il 1893, l’industriale vicentino è stato il primo automobilista in Italia, nel senso moderno del termine: l’aveva vista a Parigi e l’aveva subito ordinata ad Armand Peugeot. Quell’esemplare – telaio numero 25 – oggi è esposto nel Museo dell’auto di Torino, a ricordare un passato di pionieri. Non esisteva ancora la Fiat, sarebbe nata 6 anni più tardi: 3 ½ Hp il primo modello.
Sulla paternità dell’invenzione si è litigato per decenni arrivando infine a riconoscere i meriti di Karl Benz e della sua «Benz Patent Motorwagen». Brevetto depositato il 29 gennaio 1886 presso l’ufficio imperiale di Berlino: l’ingegnere tedesco per primo aveva applicato al suo triciclo il motore a scoppio. Ma ci voleva una donna speciale per convincere gli scettici: la moglie Bertha, all’insaputa del marito, «rubò» il mezzo nell’agosto del 1888 per compiere il primo viaggio motorizzato. Da Mannheim a Pforzheim, cento chilometri con il ritorno. Insieme ai figli.
Da quella rocambolesca avventura – Bertha usò anche forcine per i capelli per riparare il tubo della benzina – l’automobile non si è mai più fermata. Con Henry Ford è diventata massa, con Enzo Ferrari un’opera d’arte. È sopravvissuta a guerre, crisi economiche, blocchi petroliferi, smentendo ogni previsione. Ritornando di moda anche con il Covid-19, dove la libertà personale di spostarsi non è più uno status né una conquista. Ma una forma di difesa.