Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2020
Luca Del Baldo dipinge solo studiosi d’ogni disciplina
Un pittore italiano, Luca Del Baldo, che per oltre dieci anni nel suo studio di Como si dedica a dipingere ritratti di studiosi d’ogni disciplina e d’ogni Paese che abbiano posto la cultura visuale, o una qualche visione teoretica, al centro del proprio lavoro. Li sceglie a gusto proprio, se ne procura una buona fotografia e con puntigliosa analisi dei colori e dei volti la traduce in un dipinto a olio su tela. Dona poi ogni ritratto a chi vi è rappresentato, chiedendo in cambio un breve testo. L’antico rapporto committente/artista, che ha governato la ritrattistica per secoli, si trasforma così in uno scambio di doni: immagine contro testo, ritratto contro commento verbale. Un progetto ispirato da Arthur Danto, a cui spetta anche il sapore ironico e vagamente allusivo del titolo. Il libro pubblicato da De Gruyter raccoglie questo singolare epistolario iconografico-letterario, mettendo insieme un centinaio di ritratti coi relativi testi (tredici le donne). In fondo al libro, l’immagine a figura intera di Aby Warburg, e qui il testo non poteva esserci (è morto nel 1929), ma il Warburg Institute di Londra ha accettato in dono il quadro per esporlo nelle proprie stanze. Premesse di W. J. T. Mitchell e di Horst Bredekamp e un dialogo finale di Andreas Beyer con l’artista completano un volume d’impianto assai originale. Mai prima un’Accademia (per quanto fittizia) di intellettuali era stata inventata, anzi convocata da un artista, all’insegna di una sintonia con la propria intuizione di fondo, cercare nel volto umano il segreto di un’approssimazione visionaria alla complessità del mondo e della storia.
L’iconic turn del sottotitolo, spiega Bredekamp, è una formula inventata da Gottfried Boehm nel 1994 per definire «l’ingresso dell’immagine al centro dell’ermeneutica e del filosofare in quanto istanza autonoma», che rende necessario un radicale affinamento delle relative procedure analitiche. In questa strada si sono impegnati molti degli “accademici” scelti da Del Baldo, spesso rifacendosi a grandi figure del passato la cui forza sperimentale ha lasciato un’eredità ancora non pienamente dispiegata: così i viennesi Alois Riegl e Julius Schlosser, così Warburg e Walter Benjamin. Questa Visionary Academy presuppone un insegnamento di Warburg rilanciato da Martin Warnke, grande storico dell’arte tedesco recentemente scomparso (e anche lui ritratto da Del Baldo): il salto dalla “storia dell’arte” allo studio della cultura visuale intesa nella sua globalità, inclusi i nuovi media col diluvio di immagini che ci assediano. È questo un Leitmotiv nel labirinto di molteplici e dissonanti risposte verbali ai ritratti raccolti nel libro, che presuppongono la storia dell’arte come disciplina – a questa appartiene la nozione stessa di “ritratto” – ma anche la de-gerarchizzazione delle tecniche artistiche e delle immagini e l’impossibile ma agognato equilibrio, se non equivalenza, tra visuale e verbale.
L’inglese si mescola all’italiano nelle pagine del libro, non solo per i testi dei pochi italiani che vi sono inclusi (come Maurizio Ferraris, Mario Perniola, Franco Rella), ma anche nella finale conversazione di Andreas Beyer col pittore, che dà qui conto delle proprie intenzioni: la scelta di non dipingere ritratti con il modello dal vero comporta «la perdita della “cooperazione” o “performance” (Podro) tra il soggetto da ritrarre e il pittore che lo ritrae. (...) Nella mia prassi pittorica solitaria nel mio atelier tutto questo non c’è. Ma credo ci sia una forza diversa, la presenza in corpore di un soggetto afasico che si metamorfizza dichiarandosi subito “ri-produzione” o mise en abyme di un’illusione reiterata attraverso la fotografia e la pittura». Possiamo così vedere, ma anche leggere (in ordine alfabetico) Svetlana Alpers e Marc Augé, Zygmunt Bauman e Hans Belting, Harold Bloom e Noam Chomsky, David Freedberg e Barbara Stafford, George Steiner e Slavoj Zizek. Tutti sono, al tempo stesso, autorappresentazioni del pittore, che nel ritratto come genere perseguito con ostinata fedeltà identifica il mezzo privilegiato per tessere un discorso sulla (sua) pittura. Il dominio della fotografia e la sua pretesa di somiglianza al vero ha infatti allontanato dall’esperienza comune l’aspettativa che il ritratto sappia essere parafrasi artistica non solo del volto, ma del carattere o dell’anima. Luca Del Baldo non ci propone un impossibile, arcaizzante ritorno a “prima della fotografia”, ma proprio perché lavora su fotografie e non sul modello dal vero (di cui anzi elude en bloc le attese, le domande e le richieste) rivendica l’indipendenza del pittore nella rappresentazione e nell’interpretazione.
Rifiutando il classico rapporto fra pittore e committente in posa, egli opta qui per una prassi austera, anzi ardua, che trasferisce al pittore l’iniziativa della committenza. Nel Cinque o Seicento, nobiluomini e mercanti, vescovi e intellettuali convocavano un pittore per farsi ritrarre, e gli spiegavano a voce o per iscritto come farlo (con che vesti, con che gesti). Del Baldo capovolge il percorso, afferma la priorità dell’immagine sulla parola: è lui a scegliere chi ritrarre, e come, e il testo seguirà, per sua “commissione” alla persona ritratta. Il realismo della presenza viva cede il passo a un altro e piu? sofisticato realismo “di secondo grado”, un quid medium che la foto di un volto umano, elaborata e tradotta in pittura senza concessioni ne? alla fretta ne? alla banalita? dei linguaggi, puo? restituire come una verita? interiore, per cosi? dire “scavata” nella fotografia dal pittore stesso. Nel suo progetto, Luca Del Baldo esalta dunque la fotografia ponendola in luogo del modello vivo, ma insieme la respinge in una sorta di retrobottega dell’arte, perche? manipolandone i dati mediante la pittura la riveste di una piu? intensa verita? “di natura”. Il gesto pittorico, partendo dalla fotografia, ne legittima il gioco di luci e d’ombre ma lo dichiara insufficiente, e percio? lo traduce in una ben piu? sapiente sinfonia di colori.
Altre gallerie di “uomini illustri” puntarono alla visione sinottica dei ritratti esponendoli l’uno accanto all’altro: è il caso della serie allestita, nella stessa Como, da Paolo Giovio nel secolo XVI. Cosa in questo caso impossibile, perché gli originali sono disseminati per le cento case, uffici, biblioteche dei corrispondenti di Del Baldo. È solo in questo libro che la galleria si ricompone e il progetto racconta se stesso. Gli intellettuali qui ritratti, che spesso non si sono mai incontrati fra loro, compongono in tal modo una sorta di “ritratto di gruppo”, lo spaccato di una societa? e delle sue forme di pensiero. Si capisce così perché ciascun ritratto sia fortissimamente caratterizzato da uno studio puntuale, minuto, con attenzione a dettagli fisiognomici irripetibili, a fattori espressivi e a dati di carattere, insomma a quello che gli antichi Greci avrebbero chiamato l’ethos di ognuno dei rappresentati. In tal modo le persone del gruppo diventano i co-protagonisti di una larga e intensa conversazione che deborda dai margini del libro. Diventa quasi la cornice invisibile di ogni singolo quadro, e sotto la regia del pittore si propone come l’imprevista istantanea di un’epoca, la nostra. Individuo e gruppo possono perfino essere in dissidio fra loro, suggerire dissensi e divaricazioni; o convergenze impensate; o discorsi in sospeso. Parole non dette si sprigionano dai volti. Volti che parlano, perche? il pittore lo vuole. Parlano non solo o non tanto fra loro, ma a chi guardera? la galleria nel suo insieme (cioè questo libro). Parlano al pittore, ma anche del pittore e del suo interesse profondo nell’esplorare, in quei volti, non solo l’animo umano ma le possibilità espressive dell’arte.