Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2020
A tavola con Isabella Castiglioni
«Quando ho deciso che volevo frequentare l’Mba della Bocconi, sono andata da mio nonno. Si chiamava Rolf Vio. Era un esponente della società istriana, colta e cosmopolita, espressione del mondo asburgico. Era nipote di Francesco Vio, podestà della libera città di Fiume. Parlava cinque lingue. Ha vissuto fino a 104 anni. Ho chiesto a lui in prestito la metà della cifra che mi serviva per iscrivermi. Per l’altra metà speravo di ricevere una borsa di studio. A 40 anni, nel 2008, avevo capito che, alla dedizione alla ricerca scientifica, dovevo unire competenze gestionali che mi aiutassero a compiere un passo in avanti».
Isabella Castiglioni, classe 1968, è una delle (non molte) scienziate italiane che – con passione e perseveranza – sta provando a unire l’accademia e la ricerca, l’impresa e gli affari. È figlia della borghesia milanese: casa in Porta Romana, il padre Davide Castiglioni, architetto, è stato un designer di barche (sua la Caipirinha, dei cantieri Gilardoni) e la madre Fabrizia è stata una professoressa di fisica al liceo scientifico Leonardo da Vinci. Dalle aule del Cnr prima e della Bicocca poi – come ricercatrice e come professoressa universitaria – ha scelto, a un certo punto, di tornare studentessa nelle aule della Bocconi: «Il nonno, il prestito, me lo ha fatto. E io ho ottenuto una delle quattro borse di studio che coprivano metà della retta. Eravamo in cinquanta in classe. Ero la più grande. Soltanto sette donne. Nessuno dei miei compagni aveva figli. La mia figlia più piccola Benedetta aveva 10 anni, la più grande Carolina ne aveva 15. Il mio compagno Paolo è stato fondamentale in quel periodo: in tutto, sono stati due anni e mezzo. Di giorno facevo la professoressa e la scienziata. Dal lunedì al venerdì, seguivo le lezioni dalle sette alle nove di sera. Il sabato le lezioni duravano tutto il giorno. L’allieva più giovane dell’Mba aveva meno di 30 anni: Lilia, siamo diventate subito amiche. Alla fine delle lezioni, durante la settimana, io e lei andavamo a studiare nelle aule studio aperte fino all’una di notte. Il sabato mattina, alle sette meno un quarto, aspettavamo che aprisse in viale Bligny il Burger Bar, un locale che adesso non c’è più, per fare colazione e per ripassare».
Peccato che il Burger Bar abbia chiuso. Sennò questo A Tavola Con l’avremmo potuta fare lì. E, invece, siamo qui alla trattoria Amici Miei, sempre in viale Bligny, a due passi dalla Bocconi, in un locale molto informale frequentato dai professori, dagli studenti e dagli impiegati dell’ateneo, che riempiono il locale di un vociare costante e uniforme, nella Milano che prova a riprendersi dopo il trauma medico, economico e identitario del coronavirus.
Castiglioni è professoressa ordinaria di fisica applicata. I suoi insegnamenti alla Bicocca sono applicazioni della fisica alla medicina, applicazioni di machine learning e medical imaging and big data. All’università è arrivata con un concorso pubblico aperto agli esterni. A 28 anni era ricercatrice del Cnr all’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare di Milano, vicino al San Raffaele. «L’approdo alla managerialità – dice, mentre entrambi leggiamo il menù – è avvenuto attraverso la vita di laboratorio, la partecipazione ai progetti di ricerca internazionali e la fusione di queste due componenti. Nei laboratori che ho animato, sono riuscita in questi anni ad attrarre finanziamenti per 2,2 milioni di euro. A un certo punto, mi sono resa conto che servivano tecnicalità organizzative importanti. Il passaggio all’imprenditorialità è stato ancora successivo».
Non c’è assembramento – per usare la lingua del tempo del coronavirus – intorno a noi. Entrano ed escono clienti. Un piccolo pezzo di normalità, dopo il vuoto della Milano della primavera e della prima estate, sembra ricomporsi. Isabella ordina un piatto di formaggi alla griglia, con delle melanzane, più un piatto di insalata. Io, invece, prendo un piatto di ravioli di magro con burro, salvia e parmigiano reggiano. Nessuno dei due vuole il vino. La storia di Isabella è insieme una miscela di anomalia e di normalità. I master di solito vengono pagati dalle società – non importa se appartenenti alla manifattura, alla finanza o ai servizi – che compiono un investimento su persone brillanti e già sperimentate nella vita di fabbrica e di ufficio che poi, con le competenze acquisite, dovranno ascendere nella carriera interna. In pochi casi, invece, la scelta di iscriversi nasce da un impulso privato, tanto più in una persona che frequenta l’ambiente della scienza e che si trova a compiere un non piccolo investimento finanziario su se stessa (il costo della retta, in quel momento, era di 35mila euro).
La normalità è invece data dalla traiettoria di una vicenda imprenditoriale che, seppur ancora nelle sue prime fasi, sta assumendo un profilo nitido. Dice Castiglioni: «La ricerca insegna la precisione, il controllo per trenta volte dei numeri e la visione sistemica di tutte le parti, mentre l’approccio manageriale è basato sulla velocità di decisione e sulla accettazione dell’errore che per una scienziata pura, per quanto sembri esagerato, rappresenta un grande dolore».
La società, la DeepTrace, è uno spinoff dello Iuss, l’Istituto universitario di studi superiori di Pavia. È una srl controllata da lei e da Christian Salvatore («è il mio miglior allievo») e, con partecipazioni minori, da due ricercatori, Matteo Interlenghi e Annalisa Polidori.
La DeepTrace utilizza l’intelligenza artificiale e gli algoritmi per una medicina predittiva e personalizzata, l’opposto della medicina generalizzata di oggi. Con una risonanza magnetica al cervello, si può prevedere se al paziente verrà la demenza di Alzheimer entro due anni con una accuratezza dell’85%: cinque anni fa, nel 2015, il grado di accuratezza era dell’80 per cento. Adoperando la stessa tecnica, è possibile effettuare queste previsioni sui carcinomi alla mammella, alla prostata, alle ovaie e ai polmoni. Oppure su malattie degenerative come Parkinson e parkinsonismo, che sono due condizioni personali simili ma distinte: il metodo potrà essere in futuro applicato per cogliere questa differenza, a cui corrisponde diverse terapie.
La piattaforma può essere adattata: per esempio, durante il momento peggiore del coronavirus, in alcuni ospedali lombardi le radiografie ai polmoni sono state trattate con questo algoritmo. «Questo metodo ha una notevole plasticità. Si può adattare a una pluralità di patologie», sintetizza Castiglioni mentre mi offre un pezzo di formaggio grigliato, perché Milano e la sua leadership saranno anche state spossate e appannate dal coronavirus, ma gli osti qui i piatti li fanno ancora abbondanti come dai tempi di Bonvesin de la Riva.
Nel business tutto è molto difficile. In teoria, questa impostazione scientifico-medica, basata sull’intelligenza artificiale applicata alle immagini mediche e in grado di potenziarne l’informazione estraibile, rappresenta una alternativa agli esami invasivi e ha le caratteristiche per cambiare un mercato che oggi è tutto concentrato sulle biopsie e sui liquidi di contrasto. Nella pratica, le scelte delle dirigenze degli ospedali, gli orientamenti delle policy regionali e l’intersecarsi degli interessi fra la sanità pubblica e la sanità privata con il potere enorme e pervasivo dei grandi gruppi quotati e non quotati determinano un contesto con molte barriere all’ingresso. «Intanto – dice con prudenza Castiglioni – nel 2018 abbiamo fatturato 15mila euro, nel 2019 50mila euro e quest’anno, nel primo semestre, 250mila euro. Siamo piccoli. Ma l’impresa si sta formando. E, da scienziata e da imprenditrice, so bene che la cosa più difficile è trasformare una scoperta in un progetto e un progetto in una azienda».
La costruzione di una impresa è un processo imprevedibile. Il cuore tecnologico esiste: il software proprietario è già oggetto di licenza e la piattaforma – ossia il metodo di generazione dell’intelligenza artificiale – è in fase avanzata di brevettazione. DeepTrace è per ora un piccolo esperimento industriale e commerciale. «Negli Stati Uniti – osserva Castiglioni – alcune startup sono state pesantemente finanziate. Ma hanno una differenza rispetto alla nostra: mirano a diagnosi automatiche, secondo il principio organizzativo ed economico, prima che scientifico e terapeutico, della sostituzione del radiologo con la macchina. Per loro conta la diagnosi. Noi, invece, puntiamo sulla prognosi. Il nostro sistema ha come obiettivo la risposta alla domanda se un paziente avrà un decorso migliore o peggiore in una malattia o se risponderà o meno ad una specifica terapia. Servono dati clinici. È un modello di intelligenza artificiale molto complesso, con diversi tipi di algoritmi: probabilistici, geometrici e matematici. E, alla fine, con la permanenza del fattore umano, per l’interpretazione».
Niente caffè. Il dolce, invece, sì: lei prende un tiramisù, io invece una panna cotta con i frutti di bosco.
«So che avere successo con impresa è tutt’altra cosa. Ma so anche che esiste una correlazione fra la qualità della ricerca applicata e la probabilità che l’azienda che la adopera abbia successo. E devo dire che sono molto contenta che l’Organizzazione mondiale per la sanità citi in una sua pubblicazione, la Rapid Advice Guide, il nostro algoritmo per l’intelligenza artificiale per la polmonite da coronavirus», dice con prudente soddisfazione Isabella Castiglioni, professoressa e ricercatrice impegnata, ora, a fare l’impresa.